IL CAMPIONE DEL PASSATO : DANIEL ALBERTO PASSARELLA


DANIEL PASSARELLA: “El gran capitan”

La scelta di proporre Daniel Alberto Passarella come primo nella serie dei profili sui campioni del calcio argentino del passato è assolutamente dovuta ad un fatto affettivo. Si perché questo grandissimo difensore con la faccia da indio, un sinistro preciso e potente, una enorme capacità nel gioco aereo è stato uno dei miei grandi idoli del passato.

Quando sul mitico Guerin Sportivo si iniziava a parlare degli imminenti mondiali di Argentina del 1978 uno dei giocatori maggiormente citati era proprio questo libero del River Plate, con una carriera e statistiche tutte particolari. Personalmente ho sempre avuto una passione sfrenata per i grandi colpitori di testa, per quei giocatori alti, coraggiosi e potenti che facevano di questa arma la loro caratteristica principale. Molti di loro sono stati attaccanti, più o meno noti (Leivinha, Joe Jordan, Lee Chapman, Niall Quinn, Duncan Ferguson, Kennet Andersson, Ismael Urzaiz …) ma tra quelli amati ci sono stati anche Gordon Mc Queen, David O’Leary o Alan Hansen che sono dei difensori centrali. Quando dopo tanti elogi su questo giocatore, autentico leader dei biancocelesti, vidi sempre sul Guerin Sportivo la sua foto con la casacca della Nazionale argentina fu “amore” a prima vista: Passarella era il primo in piedi a sinistra, fascia da capitano (ereditata da poco da Carrascosa, altra storia meravigliosa di cui leggerete fra qualche tempo qui), faccia da duro vecchia maniera e quattro dita buone più alto di tutti quelli nella foto !

Ebbi bisogno di un paio di partite dove, pur ammirando le sue incredibili doti di leadership, un sinistro terrificante e soprattutto una elevazione assolutamente pazzesca, mi venne il dubbio che poi tanto alto Passarella non lo era … e infatti scoprii di li a poco che non solo era alto 174 cm ma che in tutte le foto ufficiali si metteva rigorosamente in punta di piedi, sembrando così almeno 10 cm più alto !

Nei mondiali di Argentina (i primi che ricordo con assoluta chiarezza) fu un autentico trascinatore. Eccellente nell’organizzare la difesa, duro ai limiti del penale nei contrasti, bravissimo nel far ripartire l’azione che fosse uscendo palla al piede dalla difesa oppure con lanci millimetrici di oltre 40 metri. Letale nei calci di punizione e dal dischetto era virtualmente “immarcabile” nel gioco aereo. Aveva una elevazione assolutamente pazzesca, da NBA o da pedana da salto in alto.

Vederlo portato in trionfo al termine di quei campionati mondiali con la Coppa in mano fu una grandissima soddisfazione per un ragazzino come me allora che non aveva mai negato di tifare spudoratamente per i biancocelesti in quel Mondiale, essenzialmente proprio per la presenza di PASSARELLA in quella squadra.
Purtroppo solo diversi anni dopo seppi cosa rappresentò quella vittoria in un Mondiale di calcio per una delle più sanguinarie e nefaste dittature della storia …

Per Passarella non fu tutto rosa e fiori. Nato a Chacabuco ad oltre 200 km da Buenos Aires le occasioni per mettersi in luce non sono le stesse di un ragazzino della capitale dove praticamente in ogni quartiere esiste una squadra di calcio professionistica. La sua grinta, ancora più ammirevole se unita alla sua piccola statura, e la sua bravura nel gioco aereo fin da ragazzino, non passa però inosservata ai grandi Club della Capitale. Prima il Boca Juniors e poi l’Estudiantes offrirono un provino al piccolo e grintosissimo ragazzino con la faccia da indio, ma le cose non andarono come sperato.

Nonostante queste due brucianti bocciature Daniel non si perde d’animo. Non certo lui che da bambino prima si ruppe una gamba in un incidente automobilistico insieme al nonno materno (e per questo motivo si impose di imparare a giocare con la gamba sinistra, quella sana, tanto poi da diventare un mancino puro) oppure quando in una partita ricevette un colpo alla testa che fece addirittura pensare al peggio …

Per lui arrivò la chiamata del Sarmiento, piccola squadra di serie C dove però Daniel ci mise davvero un attimo ad imporsi come assoluta promessa del calcio argentino. Fu il grande Omar Sivori che, ricevendo entusiastiche recensioni su quel piccolo terzino (si perché allora Passarella, dopo un inizio all’ala, giocava terzino sinistro) lo porto al River Plate dove Passarella si impose alla velocità della luce. Gli fu dato ben presto il numero 6, il ruolo di libero con il quale Passarella iniziò a fare quello che sapeva fare meglio, organizzare la difesa con le sue proverbiali urla o con i rimbrotti, tutt’altro che gentili, ai compagni di squadra rei di non applicarsi totalmente alla causa come lui pretendeva. Non furono pochi quelli che fecero un po’ fatica all’inizio ad accettare che un ragazzino, assai più giovani di tanti compagni di squadra, si permettesse di guidare e rimproverare con assiduità, in partita come in allenamento, compagni più anziani e già affermati.

Ma ci volle anche qui ben poco per rendersi conto che quella di Passarella non era solo spocchia o arroganza, ma erano vere e indiscusse qualità di leadership che di li ad un paio di stagioni gli vennero riconosciute perfino nella Nazionale del “Flaco” Menotti che si apprestava a conquistare il primo mondiale della storia del calcio argentino.

Finito il mondiale di calcio, trionfalmente vinto, le lusinghe dei Club europei non tardarono ed esplicitarsi. Furono soprattutto i club spagnoli, con il Real Madrid in testa, a richiedere le prestazioni di Passarella. Ma “el caudillo” amava il River e i tifosi e i dirigenti amavano lui. Passarella rimase al River che, almeno fino al 1981, fu una delle più grandi squadre non solo del Sudamerica ma di tutto il panorama mondiale, zeppo di campioni del calibro di Luque, Fillol, Tarantini e il giovanissimo Ramon Diaz. Anche perché all’orizzonte c’erano i mondiali di Spagna dove la formazione argentina partiva con la fondatissima speranza di ripetere i fasti di quattro anni prima. Si perché ad una squadra già fortissima e ancora più esperta si era aggiunto un ragazzino di 21 anni di nome Diego Armando Maradona. Le cose non andarono certo come previsto e pur non demeritando in nessuno dei due marche, l’Argentina fu sconfitto prima dall’Italia di Rossi & co. e poi dal Brasile delle stars.

A quel punto, a 29 anni, Passarella decide di attraversare l’oceano. A vincere la battaglia per avere Passarella è una società non di primissimo piano, ma ambiziosa e soprattutto abbondantemente irrorata dai soldini della famiglia Pontello: la Fiorentina.

L’avvio è però tutt’altro che facile. Il calcio italiano è diverso da quello argentino, il rapporto con i Pontello non idilliaco fin dall’inizio e l’allenatore della Fiorentina di allora, De Sisti, vuole limitare sia la sua sfera di influenza calcistica (nessuna scorribanda offensiva ma libero tradizionale dietro tutti i compagni) e personale (“sei uno dei tanti, qui l’unico che comanda sono io). Passarella però non molla e nonostante un avvio difficile, anche con la tifoseria che non riconosce il campione ammirato con la Nazionale Argentina, si adatta a fare ciò che il mister richiede limitandosi a dare il suo contributo sui calci piazzati. Però questo senso di abnegazione, questa sua grinta immensa nel voler comunque dare il suo contributo pur auto castrando alcune della sue migliori qualità, convince anche i più scettici e Passarella gioca altre tre stagioni ad altissimo livello, nell’ultima delle quali segna la bellezza di 11 gol, lui libero “puro”. Al termine della stagione, forse la sua migliore in viola, la Fiorentina e i Pontello decidono di prescindere da lui, più per ragioni economiche e personali che tecniche e così arriva la chiamata dell’Inter del Trap dove Passarella gioca 2 stagioni senza però mai esprimersi più che ad un livello dignitoso. Queste sue stagioni all’Inter sono, ahimè, ricordate per un brutto episodio in cui il suo sangre caliente e la scarsa capacità di controllo nei momenti agonistici più accesi, tocca purtroppo il culmine; durante una partita dell’Inter a Genova contro la Sampdoria, con l’Inter sotto di un gol, un raccatapalle con la palla in mano ritarda di consegnarla a Passarella per la rimessa da fondo campo. Passarella innervosito sferra un calcio (proprio la classica entrata a gamba tesa) al raccattapalle. Ovviamente si scatena un putiferio su tutti i mezzi di informazione, Passarella viene tacciato come un orco brutale e violento e nonostante le ripetute ammende e scuse dello stesso Passarella la sua immagine è inevitabilmente offuscata. Passarella torna in Argentina, chiude la carriera nel suo amato River Plate per poi intraprendere, con successi quantomeno alterni, la carriera di allenatore, girovagando per il mondo per diversi anni guidando anche l’Argentina ai mondiali del 1998 e poi la Nazionale Uruguagia a quelli del 2002. Nel 2006 torna all’adorato River per poi assumere, dal 2009 a tutt’oggi, il ruolo di Presidente del Club.

Anche qui dà l’ennesima dimostrazione di un carattere di una forza quasi indomabile: durante il suo “regno” i Millionarios, nel 2011, subiscono l’onta della retrocessione. Passarella vive mesi infernali, tra minacce di morte, offese e ingiurie a tutti i livelli. Non molla: rimane al vertice del club, riportandolo nella massima serie la stagione successiva e addirittura al titolo (con l’amico Ramon Diaz in panchina) a rivincere il titolo Inicial in questa stagione.

Infine un dato che probabilmente in se dice tutto: questo è lo score di Daniel Alberto Passarella in carriera: 134 reti segnate in 451 partite ufficiali … giocando da libero !

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