DIEGO MILITO : IL PRINCIPE


C’è un calciatore tra quelli passati per il nostro campionato nell’ultimo decennio che è davvero difficile non ammirare, anche se si è tifosi blucerchiati o milanisti … è un attaccante argentino che domani sera potrebbe scrivere una delle ultime, meravigliose pagine della sua carriera. Il suo nome Diego Milito, il “Principe”.

Proprio così. Domani notte, ore 21.30 argentine e la 1.30 di lunedì 24 novembre nel suolo italico, Diego Milito giocherà con il suo amato RACING CLUB (l’Academia) la partita probabilmente decisiva per le sorti di questo spettacolare e rocambolesco campionato “Transicion” argentino. Il Racing infatti è ad una sola lunghezza dai Millionarios e una vittoria sulla sua cancha (il bellissimo “Cilindro”, il Juan Domingo Peron) potrebbe aprire le porte di un trionfo in campionato che manca ormai dal 2001 … proprio quando Diego Milito muoveva i suoi primi passi nel calcio professionistico nelle file della Academia !

Nei tre anni successivi il “Principe” rimane nel suo amato Racing disputando alcune buone stagioni ma senza tuttavia entusiasmare. Attaccante completo, bravo in acrobazia e a muoversi negli spazi ma Diego non è ancora quel “flagello” delle aree di rigore che diventerà da lì a poco e che sarà la sua caratteristica principale negli anni a venire.

Una volta tanto è una squadra italiana a intravedere in Milito un potenziale che, a 25 anni compiuti, nessuno aveva visto fino ad allora; è il Genoa, che naviga nelle acque melmose della Serie B italiane dalle quali uscire non è mai facile. E così Diego firma per i rossoblu nel gennaio 2004, nel mercato invernale chiudendo la sua avventura (parte 1) al Racing con 37 reti in 147 incontro, non esattamente uno score da bomber affermato ! Ma in quella seconda parte di campionato fa subito vedere di che pasta è fatto: 12 gol in 20 partite sono una buonissima media e i tifosi genoani capiscono immediatamente che forse l’uomo della provvidenza è davvero arrivato. Nell’estate c’è qualche timido interesse da parte di qualche squadra della divisione maggiore ma Diego rimane a Genova, convinto com’è, e a ragione, che la squadra abbia le carte in regola per tornare nella massima serie di quello che era ancora un campionato attraente e di buon livello tecnico e spettacolare. I calcoli sono giusti; e i numeri che Milito apporta alla causa sono strepitosi; 21 gol in 39 partite sono la differenza tra un altro anno di purgatorio e la tanto agognata serie A. E’ l’estate del 2005 e i tifosi genoani e Milito non vedono l’ora di misurarsi contro le grandi del campionato italico. … ma si sa, siamo in Italia e certezze con ce ne sono … mentre invece dietro l’angolo ci sono sempre scandali, vere e presunte combines, calcio scommesse e intrallazzi di ogni genere. Il Genoa c’è dentro fino al collo; retrocessione in serie C. Milito non batte i pugni, non strilla o strepita come una diva del cinema a cui all’ultimo momento hanno tolto la ribalta di Broadway … almeno non fino a quando si fa avanti il Real Zaragoza, squadra spagnola di buon lignaggio dove tra l’altro gioca il fratello Gabriel, eccellente difensore centrale. A quel punto la scelta è semplice; la Liga e un buon team è scelta molto facile rispetto alla provincia della C italiana. In realtà non sarà affatto facile, Preziosi, il Presidente genoano, non vuole mollare e Milito solo nelle ultime ore di mercato riesce ad ottenere il trasferimento al team spagnolo. E proprio nella Liga arriva la definitiva consacrazione: 61 gol in 125 partite e alcune “perle” assolute che lasciano il segno come ad esempio i 4 gol segnati al Real Madrid nella semifinale di andata della COPA DEL REY a febbraio 2006 o i 23 gol complessivi della Liga nella stagione successiva che gli valsero il 2° posto assoluto nella classifica del “Pichichi” dietro un certo Van Nistelrooy del Real Madrid che ne segnò 25.

La stagione successiva, nonostante il crollo verticale della squadra che solo l’anno prima si era qualificata per la Coppa Uefa, Milito riesce a segnare ben 15 gol anche se la retrocessione segna definitivamente la chiusura della sua parabola a Saragozza.

Nell’estate del 2008 sono tante le squadre a interessarsi a Milito, alcune eccellenti squadre spagnole (Siviglia e Valencia fra le altre) qualche interessamento da oltre Manica (Everton, Totthenam addirittura l’emergente Manchester City) ma alla fine a spuntarla è, non senza lo stupore di molti, proprio il Genoa che si era vista costretta a lasciar andare il suo figlio prediletto e che ora, tornata in serie A, non vede l’ora di riabbracciarlo e con lui tutta la metà rossoblu della splendida città ligure, spendendo complessivamente la bellezza di 12 milioni di euro.

Milito disputa una stagione a dir poco sensazionale segnando caterve di gol (saranno 26 in 34 partite tra campionato e coppa) sfiorando anche qui la conquista del titolo di capocannoniere superato per sole 2 lunghezze da un certo Zlatan Ibrahimovic !

Un giocatore così però ha bisogno di altri palcoscenici anche perché ora, a 29 anni è nel pieno delle sue risorse psico-fisiche. L’Inter lo sa e sborsando su per giù 25 milioni di euro si assicura le prestazioni del fortissimo bomber di Quilmes. La sua prima stagione si conclude come meglio non si potrebbe; con una doppietta decisiva nella finale di Champions League contro il Bayern Monaco che lo farà entrare per sempre nella storia e nella leggenda dei colori nerazzurri. Il resto è cosa nota … Milito rimarrà all’Inter per altre 4 stagioni mostrando sempre oltre alle sue intatte doti di attaccante di razza una grandissima professionalità e grandi doti di caparbietà e costanza, non ultime quelle dimostrate al suo rientro dopo il gravissimo infortunio al ginocchio patito nel febbraio 2013 come ad esempio nella storica goleada al malcapitato Sassuolo di settembre 2013 quando entrando dalla panchina segnando il 5° e il 7° gol e fornendo l’assist per il 6° gol realizzato dal connazionale Cambiasso.

E ora, gli ultimi scampoli di una meravigliosa carriera che, come detto, potrebbero riservargli un ultima, immensa soddisfazione; quella di alzare al cielo il trofeo del campionato del suo Paese come capitano della squadra del cuore.

Unica e purtroppo ormai insanabile ferita per il “Principe” una carriera internazionale non all’altezza del suo valore. Con la Nazionale argentina non ha mai avuto lo spazio che probabilmente meritava ma è anche altrettanto vero che in una Nazione che produce attaccanti in serie come quella argentina non è certo facile giocare con continuità. 4 sole realizzazioni in 21 partite non sono certo un gran bottino ma è anche vero che Marcelo Bielsa, forse l’allenatore dei biancocelesti che maggiormente credeva in lui decise di lasciare l’incarico e il suo successore, lo scarsissimo Josè Peckerman decide di non convocarlo per i mondiali del 2006 forse quelli con Milito al top del carriera. Giocherà, con Maradona come responsabile tecnico, i mondiali del 2010, ma senza certo brillare.

Aldilà di questo neo resta una grande carriera che non solo consegnerà agli annali calcistici dei numeri assolutamente spettacolari in termine di reti segnati e trofei conquistati ma anche e soprattutto il ricordo di un professionista esemplare e di un autentico “Principe” del campo di gioco.

A seguire alcune bellissime immagini con Milito protagonista, incluse quelle, giovanissimo, nell’anno della conquista dell’ultimo (per ora ?) titolo dei biancocelesti dell’Academia.

2 pensieri su “DIEGO MILITO : IL PRINCIPE

  1. Uno dei giocatori che hai nominato nel tuo post, Ibrahimovic, lo ricordo con affetto per la partita di Parma del 18 Maggio 2008. Fu una delle giornate più tribolate della mia vita da simpatizzante nerazzurro (ma tifoso viola).
    L’Inter, dopo un girone d’ andata dominato, fu decimata da una quantità incredibile di infortuni, che ovviamente portò ad un drastico calo di risultati.
    Mancini era così a corto di uomini che in attacco fu costretto a mettere titolare fisso un Primavera neanche maggiorenne, Mario Balotelli: contro ogni aspettativa, questo giovane si caricò la squadra sulle spalle e con le sue prestazioni permise all’ Inter di tenere la Roma a distanza di sicurezza.
    Quel pomeriggio a Parma tuttavia rischiava di rovinare tutto. Bastava un gol, uno solo, ma non era affatto semplice segnarlo: l’Inter era tesa perché sapeva di non poter perdere un campionato che sembrava vinto dopo 20 giornate, e il Parma era motivato perché si giocava la salvezza punto su punto con Empoli e Catania.
    A meno di mezz’ora dalla fine il big match era ancora sullo 0 – 0: era la classica partita che poteva essere sbloccata solo da un fuoriclasse. Mancini, consapevole di questo, decise di far entrare Ibra.
    Zlatan era reduce da un lungo periodo di riabilitazione in Svezia. Inoltre, era nota la sua tendenza a sparire nelle partite importanti, quindi per tanti motivi non era affatto scontato che potesse essere lui l’uomo decisivo.
    E invece lo fu. Il suo primo gol fu una liberazione, e il secondo mi permise di seguire gli ultimi minuti senza gli occhi spalancati per l’angoscia.
    Godetti più per quello scudetto che per la Champions di Madrid: il secondo trofeo era diventato scontato dopo l’ eliminazione dell’ unico avversario serio (il Barcellona), e in ogni caso l’ Inter di Mou aveva una tale forza d’ animo che avrebbe vinto anche in 11 contro 20. L’Inter dello scudetto 2008 invece era fragile, fragilissima, ed é per questo che ritengo la vittoria di quel campionato un’ impresa molto più grande.
    Oggi tutti si ricordano della doppietta di Ibrahimovic, ma furono tanti altri gli eroi di quello scudetto. Ad esempio Chivu: l’ Inter aveva quasi tutti i mediani infortunati, e lui, sapendo che Mancini aveva la necessità assoluta di tappare la falla, accettò di giocare mezza stagione da centrocampista centrale. Anche in seguito confermò il suo attaccamento alla maglia, cercando di recuperare da un gravissimo infortunio alla testa in tempo per aiutare l’ Inter a centrare il triplete. Grazie di tutto Cristian.

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