Come stelle comete: MARK “ATTILA” HATELEY


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Mark Hateley al Milan.

Non riesco ancora a crederci !

L’ho amato fin dagli esordi al Coventry alla fine degli anni ‘70, quando, magrissimo e con i capelli corti (erano gli anni dello SKA, e Coventry era la culla del movimento) fece il suo esordio nel calcio inglese.

Giocava in attacco insieme a al “colored” (così venivano chiamati allora i neri) Garry Thompson, come Mark un bestione di 190 cm.

Sui palloni alti erano devastanti !

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Ho poi seguito il suo passaggio al Portsmouth e anche se mi sono stupito di vederlo scendere di categoria ho pensato che Mark sapesse benissimo cosa stava facendo.

Avevo ragione.

E aveva ragione soprattutto Mark !

22 gol in poco più di 30 partite e promozione per i Blues.

E’ l’estate 1984.

L’Inghilterra sta per partire per una tournèe estiva e mi stupisco parecchio nel leggere il nome di Mark tra i convocati.

In quel periodo c’erano fior di centravanti in Inghilterra, alcuni affermati come Tony Woodcock, Paul Mariner, Trevor Francis o Peter Withe e altri giovani rampanti come Gary Lineker, Kerry Dixon, Paul Walsh o Clive Allen.

Ma Mark è stato assoluto protagonista  poche settimane prima nel campionato Europeo Under 21 e così il grande Bobby Robson, manager degli inglesi, opta per il giovane e aggressivo attaccante.

Dopo l’esordio con l’Urss pochi giorni dopo arriva il match che, come ama ricordare lo stesso Mark, cambiò letteralmente la sua vita professionale.

Si gioca in Brasile e quella sera Mark Hateley fa capire a tutti che nel gioco aereo al mondo come lui ce ne sono davvero pochini … forse nessuno.

Contro il Brasile segna, ovviamente di testa.

La cassa di risonanza di quella prestazione è enorme.

Già da tempo tutti i migliori Clubs inglesi sono sulle sue tracce.

Ma ora si parla di lui anche in Spagna e in Francia.

Ma è Niels Liedholm, serafico e geniale allenatore dei rossoneri, a convincere Mark Hateley a sbarcare in Italia.

Con lui c’è anche Ray Wilkins, regista arretrato di Manchester United e presenza fissa nella Nazionale inglese.

Arriva così il 16 settembre 1984, il giorno della prima di campionato italiano e dell’esordio di Mark con i rossoneri.

Si gioca a San Siro, contro l’Udinese, che come fresco acquisto presenta un certo Artur Antunes Coimbra … Zico insomma !

Con il mio amico Giovanni partiamo per Milano, dove ci aspetta Massimiliano con la sua grande simpatia e soprattutto con 3 biglietti per il settore distinti.

Niente curva.

I biglietti costano un occhio della testa ma è l’esordio di Mark.

Voglio vedermelo meglio che posso.

Inizia il match.

Mi accorgo subito che intorno a noi lo conoscono in pochissimi.

Il più incazzato e critico è un certo Ermanno, un tipo lungo lungo e secco secco.

E’ bergamasco ci dice, ma a giudicare dall’abbigliamento viene come minimo dai 1000 e rotti metri della Val Seriana.

E’ vestito con un completo in lana marrone con cuffia rossonera “saldata” in testa … ovviamente di lana pure quella !

A San Siro ci saranno almeno 28 gradi !

… e sono sicuro di sbagliarmi per difetto.

Ermanno sognava di vedere Voeller con il numero 9 sulle spalle dei rossoneri.

In effetti il forte attaccante tedesco è stato vicino ai rossoneri nell’estate ma poi non se n’è fatto nulla.

Finirà alla Roma l’anno successivo.

Con mia grande gioia perché invece al Milan c’è Mark !

I primi due tocchi di Hateley sono disastrosi.

Uno “stop” alla Ciccio Graziani, con la palla che finisce a 5 metri buoni da Mark e, ovviamente, ad un giocatore dell’Udinese.

L’altro è un tentativo di apertura in fascia di prima intenzione.

La palla finisce in fallo laterale, ad almeno 20 metri dal giocatore del Milan più vicino.

Intanto Zico fa vedere un paio di giocate pazzesche.

Gioca quasi da regista, se lo scambiano Di Bartolomei e Filippo Galli quando avanza.

Ha due piedi e una visione di gioco incredibili.

Insomma … Zico è un fenomeno vero.

Dicevamo di Mark.

Continua a lottare su tutti i palloni, pressa i difensori avversari come un ossesso ma di quello che gli arriva nei primi minuti niente è praticamente giocabile.

Arriva qualche pallone lungo dalla difesa e finalmente Hateley può mostrare il suo colpo migliore; qualche stacco imperioso e preziose “spizzate” per i compagni … che però faticano a “leggere” questo tipo di giocate.

In Italia si gioca prevalentemente con la palla a terra.

Ermanno intanto ha già dato il suo verdetto.

In realtà bofonchia una serie di consonanti apparentemente slegate fra loro … Massimiliano, lombardo come lui, riesce a tradurle; “L’inglese è un buono a nulla”.

Così. Categorico e apparentemente senza appello.

Provo ad abbozzare un timido “Hateley è forte soprattutto di testa ma se non gli fanno i cross …”

Per poco non mi mangia !

“Un centravanti così ce l’ha anche il Ponte S. Pietro” mi dice Ermanno bello incazzato !

(scopro poi che parla di un paesino della provincia bergamasca … con la squadra locale in 2a categoria !)

Giovanni e Massimiliano mi consigliano di lasciar perdere.

Anche perché il sudore emanato dal corpo di Ermanno consiglia di prendere le distanze … in tutti i sensi !

Nel frattempo l’Udinese è pure andata in vantaggio.

Zico fa filtrare un pallone con il contagiri e Gerolin solo davanti a Terraneo la mette dentro con facilità.

Qualche minuto dopo però il pressing di Hateley sui difensori dell’Udinese porta il primo importante risultato; Hateley ruba palla sulla linea di metacampo, vola in progressione verso la porta dei friulani e poi con un tocco precisissimo mette in condizione Virdis di segnare a porta vuota.

Esultiamo (con grande attenzione ad evitare l’abbraccio di uno scatenato Ermanno) e tiro un sospiro di sollievo.

Male che vada Mark ha lasciato il segno nel match.

Passano si e no un paio di minuti.

Verza dalla trequarti mette in mezzo un bel pallone a giro.

Mark sovrasta Cattaneo, il suo marcatore, di mezzo metro buono.

E’ una testata da far paura.

La palla va sopra la traversa, si e no di 10 cm.

Il boato di San Siro è di quelli che sanno di stupore e ammirazione.

Ora sono in molti che cominciano a capire che se servito a dovere l’inglese è una iradiddio !

Perfino Ermanno ora ha un sorriso stampato sulla faccia che gli mette in risalto tutti i suoi … 14-15 denti rimasti !

Si va negli spogliatoi.

Io cerco di captare i commenti dei tifosi milanisti vicini a me.

Nessuno si sbilancia più di tanto, ma in molti sono stupiti dalla mobilità e dalla velocità di Mark.

Forse si aspettavano un altro alla Joe Jordan, potente, fortissimo nel gioco aereo ma non particolarmente agile.

Si riparte. Il Milan ora ci crede di più e il dominio di Hateley sui palloni alti diventa assoluto.

Si sviluppa un’altra buona trama sulla sinistra.

Quasi dalla linea di fondo Evani mette in mezzo un bel pallone al centro dell’area di rigore.

La palla è però un tantino lenta e pare quindi facile preda di Brini, portiere dell’Udinese, il quale esce tranquillo chiamando distintamente la palla.

Peccato però che non abbia fatto i conti con la proverbiale elevazione di Mark che sale in cielo, va ben oltre le mani protese di Brini, e di testa con un tocco morbido la mette in fondo alla rete.

San Siro esplode !

Io impazzisco letteralmente.

Abbraccio e bacio tutti quelli intorno a me !

Compreso un signore di una ottantina d’anni che anche dopo il gol se n’era restato seduto tranquillo solo con le braccia alzate.

Un barlume di lucidità mi permette di evitare questa pericolosissima pratica anche con Ermanno che però si gira verso di noi, urlando come un pazzo “gol, gol, gol, gol, gol …” all’infinito con due occhi da personaggio di un romanzo di Stephen King.

Hateley ha ormai conquistato tutti.

Anche Ermanno !

E la sua trasformazione è totale.

Non appena il Milan supera la linea mediana il nostro amico bergamasco scatta in piedi urlando con il suo vocione “crossa, crossa !” a qualsiasi giocatore rossonero in possesso di palla.

… inutile aggiungere che il suo livello di sudorazione arriva a toccare apici che neanche 10 ore su un tornio a luglio …

Poco importa se il gol dell’Udinese nel finale priva il Milan della vittoria.

Mark ha fatto vedere quello che vale, fin dal primo match e si sta apprestando a diventare un idolo del popolo rossonero.

… fino ad assurgere ad autentico oggetto di culto poche settimane dopo grazie a quella perentoria “zuccata” nel derby della Madonnina.

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Diventerà per tutti “Attila”.

Ma il commento più bello lo sentiamo mentre stiamo andando al parcheggio a prendere l’automobile.

Passano un gruppetto di tifosi milanisti, stanno parlando di Hateley e ad un certo punto uno di loro dice “Cavoli se è forte l’inglese! Pare di rivedere Pierino Prati”.

Ecco, per me che da bambino adoravo Pierino “La Peste” non poteva esserci paragone migliore.

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Mark Hateley rimarrà al Milan per tre stagioni, ma solo nella prima, e per meno di metà campionato, Mark giocò ai suoi livelli

Una serie impressionante di infortuni privò i tifosi rossoneri di vedere il miglior Hateley, quello che per assurdo videro invece i tifosi di Monaco e Rangers di Glasogow nelle stagioni successive.

Una forza della natura.

Una progressione impressionante, un sinistro educato e soprattutto potente.

Ed una abilità nel gioco aereo che lo mette fra i migliori di sempre.

Abilità ereditata dal padre, Tony Hateley, fortissimo attaccante degli anni ’60 che passò anche per il Liverpool di Billy Shankly.

Per cui giusto dare ad Hateley quello che è di Hateley: cometa si, ma solo in Italia.

Era così forte davvero ? Chiedetelo a Fulvio Collovati.

 

 

 

 

 

STORIE MALEDETTE: CARLOS “EL CHINO” CASZELY


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Siamo arrivati qua come nessuno c’era mai arrivato prima d’ora.

Ci siamo qualificati per giocare questo Campionato del Mondo battendo … nessuno.

Proprio così.

Perché l’URSS, dopo il pareggio a Mosca della partita di spareggio dell’ andata, si è rifiutato di venire in Cile a giocare la partita di ritorno da noi, nel novembre del 1973.

E così, grazie alla farsa voluta dalla FIFA, siamo dovuti comunque scendere in campo e segnare un gol contro … dei fantasmi.

https://youtu.be/KvMi0cXaZDI

Il motivo della rinuncia russa ?

Il Cile, il mio adorato e meraviglioso Paese, da due mesi era caduto sotto una bieca, spietata e sanguinaria dittatura.

Quella del Generale Pinochet e della sua feroce ghenga.

Il sogno di un Paese democratico, libero, autonomo e indipendente finalmente dal giogo sempre più asfissiante degli Stati Uniti d’America e della sua politica economica che stava uccidendo il nostro Paese è finito l’11 settembre dello scorso anno.

Con la morte del nostro Presidente Allende si è spezzato questo sogno.

Oggi non ci sono alternative.

O la pensi come “loro” o … è meglio non pensare affatto.

Io non sono così.

Tutta la mia famiglia non è così.

Tanti miei compagni, amici, studenti e operai non sono così.

Avevamo una Democrazia.

Avevamo scelto Salvador Allende per guidarci nel tentativo di uscire da tanti, troppi anni bui e disperati per il Paese.

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Lo ammetto, non è mai stato facile, nemmeno per un minuto.

Ma ci stavamo provando, a nutrire questa giovane Democrazia dalle gambe ancora esili e fragili, a farla crescere e irrobustirla.

Tutti noi cileni ci stavamo provando, anche se a non volerla questa Democrazia non erano solo quattro militari o un branco di ricchi imprenditori.

A non volerlo era il Paese più ricco e potente del Mondo, quello che stava ormai vincendo la guerra fredda contro il gigante Russo, lo stesso che due mesi dopo si è rifiutato di giocare contro di noi una partita di pallone.

Ad aggiungersi alla beffa la tragedia.

Lo stadio di quella pietosa e patetica messa in scena è stato proprio quello dove tanti miei compagni, amici e conoscenti sono stati segregati, torturati e uccisi dagli aguzzini di Pinochet.

Io sono stato più fortunato di tanti di loro.

Dal giugno dello scorso anno gioco e vivo in Spagna, lontano da questo orrore.

Ma i giornali arrivano anche qui e quando parlo al telefono con la mia famiglia, anche se fanno di tutto per sdrammatizzare, per non farmi stare in ansia, capisco che sul mio Paese è scesa la notte, quella più buia e spaventosa.

E poi ho potuto anche vederlo in faccia Pinochet !

E’ stato poco prima di partire per l’Europa.

Ha voluto salutare la squadra, augurarci buona fortuna e stringere a tutti la mano.

Non a me.

Eppure lo avevano avvisato.

“Caszely si rifiuterà” gli hanno detto.

E avevano ragione.

Io non voglio neanche toccarlo quel lurido assassino.

Ora però siamo qui, in Germania, a giocare i Mondiali di calcio.

In pratica il sogno di ogni calciatore, il culmine di una carriera.

Ma nessuno di noi riesce a vivere questo momento nella sua pienezza.

Il pensiero va a casa, alle famiglie e agli amici, ai tanti ragazzi coraggiosi che sono già stati uccisi … e a quelli che moriranno ancora.

Domani si comincia.

Ci tocca proprio la Germania Ovest, la favorita.

Quella di Beckenbauer, di Muller, di Overath e di Breitner.

E allora mettiamocela tutta … e speriamo di regalare un sorriso alla nostra gente laggiù in Cile.

https://youtu.be/W5WS-7F54D4

Quello che successe è tutto nel video.

Il Cile giocò con il cuore in mano, difendendo con i denti contro i fortissimi tedeschi e cadendo solo grazie ad un gol da 30 metri del “maoista” Paul Breitner.

Caszely entrò effettivamente nella storia in quella partita.

Una storia maledetta appunto …

Fu infatti il primo giocatore espulso in un Mondiale CON il cartellino rosso, utilizzato per la prima volta quattro anni prima in Messico ma senza che nessun giocatore in tutto il Mondiale messicano incorse in questa sanzione.

Ad onor del vero nelle cronache dell’incontro si fa spesso menzione del trattamento rude del mastino Bertie Vogst nei confronti dell’attaccante cileno, che, all’ennesima entrata dura del terzino teutonico, finì per reagire nel modo documentato.

In una intervista televisiva di qualche anno fa lo stesso Carlos Caszely, da sempre oppositore del governo di Pinochet e dichiaratamente comunista, ammise che venne offeso per tutto il match dallo stesso Vogst, la cui fede politica pare fosse diametralmente opposta a quella dell’attaccante cileno.

Quello che non bisogna dimenticare è che Carlos Caszely è stato un fantastico attaccante, sia con il Colo Colo, team cileno nel quale militò per oltre 10 anni in due diverse tappe, sia nella Nazionale Cilena dove a tutt’oggi è ancora il 3° miglior goleador di sempre, dietro due mostri sacri come Marcelo Salas e Ivan Zamorano.

Così è stato anche nella sua esperienza in Spagna, prima al Levante e poi all’Espanyol Caszely dove “El Chino” ha sempre segnato valanghe di gol guadagnandosi anche un curioso e simpatico appellativo, quello di “El Rey del metro cuadrado” per il suo opportunismo e per la sua incredibile rapidità.

Anche nella vita sociale del suo amato Cile non si è mai tirato indietro.

Attivo fin da giovanissimo nelle file del partito della “Unidad Popular” appoggiando in special modo la candidatura di due esponenti del partito comunista quali Gladys Marin e Volodia Teitelboim.

Sua madre nel periodo più sanguinoso della dittatura fu addirittura sequestrata e torturata e la sua storia personale fu da lei stessa raccontata in tv con a fianco il figlio Carlos durante le prime elezioni “libere” volute dallo stesso Pinochet nel 1988, convinto com’era di avere (erroneamente) la maggioranza del popolo cileno dalla propria parte.

Un’altra testimonianza della sua onestà culturale e del suo spessore di persona Caszely la diede qualche anno dopo, nel 1997, quando gli fu chiesto dal Partido Por la Democracia di partecipare come candidato alle elezioni di quell’anno.

“No” rispose Caszely “Voi non volete me, ma l’immagine che rappresento”.

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A seguire un video semplicemente IMPERDIBILE.

Un servizio, realizzato da Eric Cantona, su Carlos Caszely, uno dei “ribelli” del calcio.

… servizio passato ahimè inosservato ai più …

https://youtu.be/2dnRwUsv6Ms

E infine, per non dimenticarlo, un video che ricorda che Carlos Caszely è stato, prima di tutto, un fantastico attaccante.

https://youtu.be/DycnRDTE1-Y

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Nota: La prima parte raccontata in prima persona è frutto della fantasia del sottoscritto anche se ovviamente si basa su interviste, racconti e aneddoti riportati da e su Carlos Caszely.

 

 

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Come stelle comete: RICARDO “RICKY” VILLA


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Il Boss, Keith Burkinshaw, ha appena dato la formazione.

Ci sono anch’io !

Che sollievo …

Dopo la mia inguardabile prestazione di sabato ero quasi certo che il Mister mi avrebbe preferito il giovane Gerry, che obiettivamente, ha avuto un impatto sul match decisamente migliore del mio quando è entrato al mio posto a metà del secondo tempo.

Sapevo che giocare una finale di FA CUP è il sogno assoluto di ogni calciatore britannico.

Il mio amico Ossie (così lo chiamano da queste parti) ed io lo abbiamo imparato presto.

Ma non avrei mai immaginato quanto fosse intenso, emozionante e magico scendere in campo a Wembley, con una coreografia unica al mondo e con milioni di telespettatori inchiodati in casa davanti allo schermo.

In fondo dovremmo esserci abituati, Osvaldo più di me.

Meno di 3 anni fa lui ha giocato una finale del Campionato del Mondo, davanti alla nostra gente, al popolo argentino che sognava questo titolo dopo quasi mezzo secolo di amarezze e delusioni.

Io ero in panchina, e la partita l’ho vissuta da tifoso, come qualsiasi argentino anche perché sapevo che le mie possibilità di scendere in campo erano davvero pochine.

Subito dopo il Mondiale il Tottenham Hotspurs si è fatto avanti.

Ci volevano qui.

Non era certo abituale per giocatori argentini venire a giocare in questa Terra.

Non siamo mai stati troppo amati.

Specialmente dopo il Mondiale del 1966.

“Animals” ci hanno chiamati.

Più facile ricevere offerte da Spagna o Francia che non dall’Inghilterra.

Ad essere sinceri Boss Burkinshaw voleva Ardiles.

Quello era il suo vero obiettivo.

In fondo Osvaldo è stato uno dei protagonisti della nostra vittoria ai Mondiali.

Magari non il più appariscente, come lo sono stati Kempes o Passarella o Tarantini.

Ma per tutti noi in Argentina e per chiunque capisca di calcio “Ossie” è stato “l’olio nel motore della squadra”.

Senza di lui avremmo grippato.

Ma Mister Burkinshaw è un uomo intelligente e ha capito fin da subito che per un solo giocatore un passo così poteva rivelarsi traumatico e probabilmente troppo difficile da assimilare.

Così ha chiesto al mio amico Ardiles se riteneva ci fosse qualche altro giocatore argentino in grado di adattarsi al calcio inglese, ai suoi ritmi, alla sua fisicità e al suo calendario pazzesco.

E il mio amico Ossie ha pensato proprio a me !

Così abbiamo fatto armi e bagagli, abbiamo lasciato lui il suo Huracan e io il Racing Club e siamo arrivati qua.

L’accoglienza dei supporters degli Spurs è stata incredibile.

Assolutamente inaspettata.

Ci hanno incitato, supportato, sostenuto e … aspettato, con calore e pazienza.

Certo, un mio gol all’esordio contro il Nottingham Forest ha aiutato, ma ci abbiamo messo un po’ ad abituarci ai ritmi indiavolati di questo calcio.

E io ho faticato più di Ossie.

In un calcio così fisico nonostante i suoi 170 cm e si e no 60 kg Ossie, con la sua intelligenza tattica sublime, si è integrato quasi subito.

Io invece, malgrado i miei 185 cm e gli 80 kg (abbondanti !) ci ho messo un po’ di più a trovare il ritmo.

Non solo i tifosi ci hanno dato una mano.

In squadra ci sono giocatori di valore come il nostro bomber Steve Archibald o l’ala Tony Galvin … e poi c’è un genio assoluto !

Si chiama Glenn Hoddle.

Se fosse sudamericano sarebbe titolare in ogni Nazionale del continente. Brasile e Argentina comprese.

Ma qua qualcuno lo critica … corre poco ed è scarso nei tackles … misteri del calcio.

E poi c’è il Mister.

Burkinshaw crede in me.

Lo ha fatto dal primo momento.

E lo ha fatto anche stavolta, ridandomi la possibilità di scendere in campo domani, nella partita di ripetizione, nonostante la mia pessima prova di sabato scorso.

Si rigioca a Wembley.

Meno male !

Non succedeva da più di 10 anni.

Di solito il “replay” veniva giocato altrove.

Siamo più forti del Manchester Cty, lo sappiamo tutti dentro di noi.

Ma adesso però è il momento di dimostrarlo.

Ed io, Ricky Villa, per primo.

https://youtu.be/T1ahDUm6rLw

Così finì questo replay.

Ricky Villa fu protagonista assoluto con la sua doppietta ma soprattutto con QUEL GOL.

Il gol decisivo che pochi anni dopo fu votato “il gol del 20mo secolo” nella storia delle finali di FA CUP.

Uno slalom pazzesco fra le maglie di una incredula difesa del City.

Villa rimase agli Spurs altre due stagioni, grazie al suo passaporto italiano, mentre Ardiles, allo scoppio della guerra delle Falklands/Malvinas dovette quasi fuggire in Francia, al PSG.

Nel 1983 come detto lasciò gli Spurs, andando a spendere gli ultimi anni di una dignitosissima carriera tra Stati Uniti e Colombia, prima di chiudere la carriera in Patria a 37 anni suonati nel Defensa y Justicia.

… e se passate dal White Hart Lane non vi sarà impossibile ancora oggi vedere qualche maglietta o bandiera con Ricardo Villa in versione “Che Guevara” … in fondo, anche lui e Ardiles hanno fatto una Rivoluzione.

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STORIE MALEDETTE: ANTONIO “EL RATA” RATTIN


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La maledizione di questa storia è racchiusa nei 10 folli minuti che consegnarono questo per’altro eccellente calciatore alla storia del football.

E’ il 23 luglio 1966. Si gioca per i quarti di finale del Campionato del Mondo.

Lo stadio è quello di Wembley.

L’Argentina gioca contro i padroni di casa, i “Leoni d’Inghilterra” di Charlton, Moore e Stiles.

La partita è equilibrata, non particolarmente spettacolare e fino a quel momento ruvida, giocata in maniera determinata da ambo le parti ma non scorretta.

Il guaio è che per ogni entrata decisa degli argentini scatta una ammonizione (occorre precisare che allora non c’erano i cartellini ma semplicemente l’arbitro annotava sul suo taccuino i giocatori ammoniti) mentre per gli inglesi, per Nobby Stiles in particolare, pare che ci sia un diverso metro di giudizio. Nessuno dei “bianchi” è sul taccuino del direttore di gara.

Qualche minuto prima anche Rattin, con il numero 10 sulle spalle e la fascia di capitano al braccio, viene ammonito dal tedesco Kreitlein per un innocuo tentativo di sgambetto a Bobby Charlton.

Viene assegnato un calcio di punizione agli inglesi, pochi metri fuori dall’area di rigore; far rispettare la barriera in quel periodo non è facile e gli argentini cercano di guadagnare metri preziosi.

Gli inglesi però battono la punizione a sorpresa.

Pallone che finisce abbondantemente lontano dai pali difesi dall’arquero argentino Roma.

Le immagini non sono chiarissime ma pare che l’arbitro Kreitlein ammonisca un altro giocatore argentino, il centravanti Artime, reo di non aver rispettato la distanza al momento della battuta.

A questo punto Rattin si avvicina all’arbitro per chiedere spiegazioni.

Rattin non parla inglese ne tantomeno tedesco.

Nelle immagini televisive si vede l’arbitro fermarsi di colpo e far segno a Rattin di uscire dal campo.

“Non so cosa mi abbia detto … ma mi guardava in modo truce. E così l’ho espulso”. Dichiarò in seguito la giacchetta nera tedesca.

Un modo come un altro per “disequilibrare” un match fino a quel momento parecchio complicato per i futuri campioni del mondo.

Rattin però non ci sta.

Esige spiegazioni.

Non capisce perché deve uscire dal campo.

In una partita così importante poi !

I dieci minuti che seguono sono tragicomici.

Rattin non ne vuole proprio sapere di uscire dal rettangolo di gioco.

Provano a spiegargli la situazione, qualcuno prova addirittura a prenderlo per un braccio per accompagnarlo fuori.

Il capitano di Argentina e Boca Juniors reagisce stizzito.

Che nessuno lo tocchi.

Dirà poi che lui pretendeva un interprete, qualcuno che gli spiegasse PERCHE’ doveva lasciare il campo in un match così importante.

Alla fine la partita riprende, ma lui rimane prima a bordo campo e poi decide di sedersi sul tappeto rosso ad utilizzo esclusivo dei membri della casa reale inglese.

Decisione infelice quanto inconscia che scatenerà ancora di più l’ira del pubblico di Wembley che, perdendo in maniera inaspettata il famoso self-control, scaglierà di tutto verso “El Rata”, caramelle, merendine e perfino lattine di birra.

In dieci per tutto il secondo tempo l’Argentina finirà per cedere, seppur di misura, vedendosi  così estromessa da un mondiale che, dopo tanti anni di magre figure, prometteva davvero grandi cose.

“Animals” vennero definiti da Sir Alfred Ramsey, allenatore degli inglesi, i giocatori argentini rei di comportamento antisportivo e di rudezze inconcepibili in un campo di calcio.

Rattin rimase marchiato a fuoco da questo incontro e, come spesso accade, le sue enormi doti di calciatore hanno finito per passare in secondo piano rispetto a quei “pazzi” dieci minuti di Wembley.

“Era già tutto deciso” ricorda Rattin in una meravigliosa intervista di qualche tempo fa, “I delegati di Argentina e Uruguay furono informati che il sorteggio arbitrale si sarebbe tenuto alle 19. Solo che quando arrivarono era già stato tutto deciso; Inghilterra-Argentina ad un arbitro tedesco e Germania-Uruguay ad un arbitro inglese !”

Interessante anche la sua teoria sui Mondiali di calcio fino al 1970, i primi ad essere trasmessi in diretta e via satellite.

“Fino ad allora gli introiti per la FIFA potevano essere garantiti solo in un modo; stadi pieni riempiti dalla squadra organizzatrice del torneo. Svezia in finale nel 1958, Cile in semifinale nel 1962 e Inghilterra campione nel 1966. Dal 1970 in poi non era più così determinante portare alle fase finali la squadra organizzatrice in quanto con i diritti televisivi la FIFA si era già garantita gli introiti”

Rattin fu uno dei grandi del Boca Juniors.

Ci giocò la bellezza di 15 stagioni, dal 1956 al 1970, vincendo 4 campionati e una coppa d’Argentina.

Con i suoi 190 cm di piazzava davanti alla difesa, come classico “5”, quella figura a metà tra il regista difensivo e l’incontrista più arcigno.

Le sue doti di leadership sono entrate nella leggenda del calcio argentino.

Era amato dai compagni di squadra e rispettato da arbitri e avversari.

Proverbiale una sua “chiacchierata” con Pelè, nello stesso incontro in cui “El Chino” Mesiano (di cui si può leggere la storia nel Blog) si prese una testata a palla lontana da “O’Rey” e dovette abbandonare il campo.

Accadde nell’incontro decisivo della “Coppa delle Nazioni” (l’unico trofeo internazionale vinto dall’Argentina prima dei mondiali del 1978).

Rattin chiese espressamente all’allenatore argentino dell’epoca, Pepe Minella, di far entrare Telch, un attaccante al posto dell’infortunato Mesiano “Del “Negro” (Pelè) me ne occupo io”

C’è un calcio d’angolo per il Brasile.

Rattin si avvicina a Pelè.

O’Rey capisce dallo sguardo del “Rata” che non è esattamente conciliante dopo aver visto un compagno uscire insanguinato dopo la “cura” del  “10” del Brasile.

“Rata” lo anticipa un preoccupatissimo Pelè “Con la palla in gioco ok, ma senza palla no eh ?”

“Non ti preoccupare” gli risponde serafico Rattin. “Senza palla no … ma come hai la palla ti ammazzo”.

Pelè non toccherà palla per il resto del match.

L’Argentina vince 3 a 0 e addirittura Pelè si rifiuta di tirare un calcio di rigore, lasciando l’incarico a Gerson che se lo fece parare da Amadeo, il portiere argentino.

Antonio Rattin finì la sua carriera a 33 anni, nel Boca Juniors ovviamente e dopo una breve parentesi come allenatore del Gimnasia La Plata prima e del suo Boca poi, chiudendo con il calcio nel 1980 per poi dedicarsi alla politica e lavorando nel ramo assicurativo.

Di lui c’è una statua nel “Museo Xeneize” inaugurata lo scorso anno a testimonianza dell’amore e del rispetto del popolo del Boca per questo grandissimo calciatore, purtroppo ricordato fuori dall’Argentina solo per i folli dieci minuti di Wembley.

ANEDDOTI E CURIOSITA’

Al suo primo allenamento con il Boca fu costretto a giocare con scarpe normali da passeggio in quanto nessuno riuscì a trovare un paio di scarpe da calcio adatta al suo enorme piede. (pare portasse un 47).

Il suo esordio fu nientemeno che in un “Superclasico”.

Il mercoledì precedente lui e il compagno Yaya Rodriguez vengono convocati in prima squadra dalla “Tercera” (in pratica la squadra Beretti del Boca, bypassando addirittura i “Primavera”, allora chiamati la “Reserva”, il secondo team dopo la prima squadra).

Solo che qualche giorno prima Rattin si è rotto un polso. Il Mister non ci rimane bene ma lo prova comunque nella partitella.

Risultato ? Rattin gioca talmente bene che la domenica successiva è titolare contro il River, con una protezione al posto del gesso per poter giocare.

Altro ricordo di quel giorno memorabile

“Allora non esistevano i ritiri. Si tornava a casa e ci si doveva presentare allo stadio un’ora e mezza prima della partita. Ero deciso ad andare in autobus quando scoprì che con un vicino di casa stava andando a vedere la partita insieme a 40 scatenati ragazzi del mio Barrio con un vecchio Chevrolet 47.

“Ebbi il posto d’onore in cabina vicino all’autista e così raggiunsi la Bombonera !”

Rattin fu anche uno dei promotori di una meravigliosa iniziativa in aiuto di vecchi giocatori del Boca caduti in disgrazia.

La proposta era che l’1% del contratto di ogni calciatore professionale del Boca venisse messo a disposizione di giocatori storici del Club in difficoltà economica.

Una volta identificati il Boca a sua volta avrebbe messo un altro 1% …

(A tutt’oggi mi risulta che ancora oggi più di una ventina di vecchie glorie “Xeneizes” usufruiscano di questa specie di pensione.)

Uno dei ricordi più intensi riguarda ovviamente quello che accadde alla famosa “Puerta 12” (di cui racconto qui nel Blog”, in cui Rattin fu uno dei protagonisti in campo.

“Stavo rientrando a casa in auto dopo il match quando alla radio iniziarono ad arrivare notizie su quella terribile tragedia. Dissero tra l’altro che c’era necessità di sangue … mi diressi immediatamente verso l’ospedale Pirovano per una donazione … che però rifiutarono viste le mie condizioni di grande stanchezza avendo da poco terminato l’incontro.

Il suo rapporto con il River è qualcosa di raro da quelle parti, proprio per il rispetto che la figura di Rattin ha sempre saputo suscitare anche nei tifosi dei “Millionarios”.

Alla domanda se la retrocessione del River di qualche anno fa gli provocò gioia o piacere la risposta è inequivocabile: “No, assolutamente. Lo dico con il cuore. Boca e River sono le due locomotive del calcio argentino. Tutte le altre sono vagoni attaccati dietro. Abbiamo bisogno di loro come loro di noi.”

Il giorno più triste, fu per sua stessa ammissione, quello del ritiro dal calcio giocato.

“Accadde in un match con il Banfield. Da qualche tempo avevo grossi problemi ai tendini di Achille, facevo fatica a correre normalmente. Nel primo tempo di quell’incontro non riuscivo proprio a correre. I miei compagni ad un certo punto smisero addirittura di passarmi la palla. Ero diventato un peso.

Chiesi il cambio nell’intervallo.

Presi l’auto e me ne tornai a casa, prima ancora che finisse il match.

Capì che ero arrivato al capolinea.

Non giocai più un solo minuto nel Boca in una partita ufficiale”.

Infine, la parte più controversa e delicata.

L’ammissione, senza incertezze, che per un certo periodo l’utilizzo di stimolanti (anfetamine soprattutto) nel calcio argentino erano la norma.

“Erano iniezioni a cui si sottoponevano i calciatori. Il prodotto in questione era lo stesso usato negli ippodromi di Buenos Aires per i cavalli. Potevi correre due giorni di fila” ricorda Rattin.

“Quando arrivai al Boca come allenatore ne proibì l’utilizzo.

Le “vitamine speciali” le chiamavano all’epoca.

Nel giro di poche partite, tutte perse, finimmo penultimi.

A questo punto tornai sui miei passi.

Diedi il benestare per l’utilizzo.

Vincemmo praticamente tutte le partite da lì alla fine del campionato, finendo al 7° posto.

Se non avessi cambiato idea il Boca sarebbe finito in B”

A quell’epoca non dissi nulla. C’era una dittatura nel Paese”

Artime (centravanti argentino ai Mondiali del 1966) fece qualche ammissione.

Fu convocato immediatamente dal Governo e la cosa fu immediatamente insabbiata.

Fu solo nel 1980 che in Campionato si iniziarono ad effettuare controlli antidoping in ogni partita.

Antonio Rattin ora ha 79 anni, ma “l’ultimo Caudillo” come veniva spesso soprannominato in Argentina, va ancora alla Bombonera, segue il calcio e mette Leo Messi sullo stesso livello di Maradona … ma un gradino sotto al grande Pelé.

A seguire un breve video sul “Rata”.

 

 

GIMNASIA y ESGRIMA LA PLATA: Febbre da derby.


Gimnasia y Esgrima la Plata.

Il Club calcistico più vecchio di tutto il Sud America.

Fondato nel 1887, solo 5 anni dopo la fondazione della città di La Plata.

Giocano nel “Bosque”, il bosco, così chiamato perché è situato proprio al centro del Parco

omonimo della città.

Il Barrio è “El Mondongo”.

Contiene “solo” 21.500 posti al momento ma l’atmosfera, la passione e l’incitamento del suo popolo non mancano mai.

Il Gimnasia non ha mai vinto tantissimo e per certi aspetti è sempre vissuto un pò nell’ombra dei rivali cittadini dell’Estudiantes, anche se 5 titoli di Campione d’Argentina sono nel Palmares.

Ma il “Lobo” o il “Tripero” (soprannomi del Club) è ancora oggi la squadra della città, in quanto a La Plata ha più tifosi dell’Estudiantes e, sempre dalle statistiche, è il 10mo Club più amato del Paese, alle spalle di Boca Juniors, River Plate, Independiente, San Lorenzo, Racing Club, Rosario Central, Estudiantes, Belgrano e Newell’s.

In questo breve, ma meraviglioso video, la “hinchada” del Gimnasia prima del derby della scorsa settimana contro i concittadini “Pinchas” dell’Estudiantes.