STORIE MALEDETTE : PAUL VAESSEN


Paul-Vaessen

Mancano meno di 20 minuti alla fine del match.

Il risultato è inchiodato sullo 0 a 0.

E a noi non basta. Nella nostra tana, su ad Highbury, abbiamo pareggiato 1 a 1.

Serve un gol. E alla svelta.

La Juventus è una grande squadra. Praticamente 2/3 della Nazionale italiana che ha impressionato tutti due anni fa ai Mondiali di Argentina.

Causio, Bettega, Tardelli, Scirea, Zoff, Cabrini …

Il Comunale di Torino è una bolgia.

70.000 tifosi della “Old Lady” sugli spalti con i loro cori, il loro incitamento, le loro coreografie. Sanno bene che la finale della Coppa delle Coppe è sempre più vicina, ad ogni minuto che passa.

Io sono seduto in panchina. Non ho ancora compiuto 19 anni. Ne avevo 16 quando ho debuttato con i Gunners. Era a Lipsia, in Coppa Uefa. Qualche altro piccolo cameo in prima squadra l’ho già fatto … Chelsea, Norwich, Middlesbrough.

Ma qui siamo a Torino e questa è la JUVENTUS !

Da qualche minuto abbiamo iniziato a spingere con più intensità.

E più la nostra intensità sale più la Juve inizia ad arretrare, a lasciarci campo.

Anche sugli spalti il rumore è meno assordante. Un pò di timore tra i tifosi juventini inizia a serpeggiare.

In fondo ci basta un gol.

E per fare un gol basta un secondo …

Mi sto scaldando ai bordi del campo con i miei compagni. E’ una piacevole e mite serata di fine aprile, ma io ho ancora la tuta addosso.

Tanto mica devo entrare !

Queste sono partite da uomini, non da ragazzini come me.

Corricchio, faccio qualche piccolo esercizio fisico senza troppa convinzione. I miei occhi sono sul campo, dove sto sperando in una invenzione di Liam o in una zuccata di Frankie.

Poi sento chiamare il mio nome.

Avrò capito male.

Guardo i miei colleghi a bordo campo con me. Ci sono due Steve, un John ma un solo Paul.

Paul sono io.

Don Howe, il nostro grande Coach, la vera mente della squadra, si sbraccia.

Mi avvicino quasi titubante.

“Forza ragazzo, togliti quella tuta !” mi grida.

Merda. Dice proprio a me.

Mi tremano le gambe e anche le mani. Per poco non finisco lungo disteso mentre goffamente cerco di sfilarmi la tuta.

Don mi da un paio di stringatissime istruzioni tattiche, poi mi batte una mano sulla spalla e mi dice “Vai dentro ragazzo, e segnaci quel benedetto gol”.

Entro in campo. Mi sembra di avere 140.000 occhi tutti su di me.

I miei compagni mi fanno coraggio. Qualcuno mi sorride, qualcuno mi guarda un pò stupito, sorpreso come e più di me di vedermi in campo in un match del genere.

Mancano 13 minuti alla fine.

Entro al posto di David, un centrocampista e mi piazzo vicino a Frank con Alan che si defila un pò a destra.

Frank è il nostro bomber. E’ un leader, anche se parla poco e sorride ancora meno.

Qualcuno dice che presto se ne andrà dall’Arsenal e che io prenderò il suo posto al centro dell’attacco.

Ora però sono in campo con lui.

Le sue prime parole mi sorprendono “Ragazzo, tu stai in area e attacca sempre il secondo palo. Io cercherò di portarmi dietro Gentile per tenerlo lontano dall’area”.

Frank Stapleton, idolo assoluto della North Bank, centravanti della Nazionale Irlandese che si sacrifica per la squadra e per me !

Vabbè, quando mi sveglierò da questo sogno avrò qualcosa di grosso da raccontare agli amici !

Il primo tocco di palla è disastroso. Il mio stop è in realtà un passaggio a Scirea, il loro bravissimo libero. Cerco di rimediare andando su di lui in pressing come un indemoniato.

Mi evita in dribbling con una facilità irrisoria, quasi fossi una cacca di cane sul marciapiede.

Davvero un inizio niente male.

Arriva una palla lunga da dietro di David. E’ esattamente a metà tra me e Frankie. Siamo entrambi due “target men”, due prime punte, due “torri”. Io sono 188 cm e per me è naturale andare a cercare questi palloni per fare sponda per un compagno.

Ma è altrettanto naturale per Frank.

Saltiamo entrambi su quella palla, entrambi saltiamo più in alto dei difensori juventini e arriviamo insieme su quella palla … peccato che dietro di noi non c’è nessuno a raccogliere il passaggio.

Frank mi manda letteralmente a quel paese.

“Cazzo ragazzo, ti ho detto di stare in area”.

Beh, se non altro ritrovo il Frank Stapleton che conosco !

Intanto i minuti passano.

La Juventus è ora decisamente spaventata e si chiude sempre di più.

Ma fare gol ad una difesa italiana che si chiude è quasi come vincere alla Lotteria nazionale.

Improvvisamente troviamo un varco sulla sinistra. E’ un pò che ci stiamo provando da quella parte.

In fondo i nostri due giocatori più creativi, Liam e Graham, sono entrambi mancini.

Per 88 minuti i risultati però sono stati scarsi.

Ora però riusciamo a servire “Rixy” nella sua posizione, sulla linea laterale a una trentina di metri dalla linea di fondo. La fascia è ben presidiata dai giocatori bianconeri ma Rixy prova a partire in progressione. Lo spazio sembra davvero troppo poco ma improvvisamente trova un punto di riferimento inaspettato. C’è Frank, sulla linea laterale, a fare da sponda e a triangolare con Rixy.

Noi tutti sappiamo bene che al nostro riccioluto e biondo mancino bastano pochi centimetri di spazio per riuscire a mettere uno dei suoi fantastici crosses.

E’ proprio così che meno di un anno fa abbiamo vinto la FA CUP contro il Manchester United a Wembley, grazie ad un suo cross “al bacio”, quella volta per Alan.

E anche oggi, come allora, mancano meno di 120 secondi alla fine.

Rixy punta deciso la linea di fondo. Guadagna mezzo metro su Claudio Gentile.

Per Rixy equivale ad un miglio marino.

A meno di mezzo metro dalla linea di fondo riesce a pennellare il suo cross.

“Ragazzo, attacca il secondo palo” mi ha detto Frank appena entrato.

E così faccio.

La palla scavalca tutta la difesa della Juve. Perfino Cabrini ha fatto un passo verso il centro per chiudere su Alan.

La palla mi arriva precisa sulla testa. Non devo quasi saltare. Sono a due metri dalla porta.

La metto dentro.

Nel Comunale di Torino scende un silenzio irreale.

Zoff guarda i suoi compagni, allarga le braccia come a dire “E questo chi è ? da dove è sbucato ?

Poi si mette le mani nei capelli. Ha capito che per la Juventus è la fine.

Corro verso la panchina, cerco di arrivare da Don … credo.

In realtà non capisco più niente.

I compagni mi sommergono. Mi arrivano addosso contemporaneamente David e Willie, i nostri due difensori centrali. Equivale a dire circa 170 kg, in un colpo solo.

Non riesco nemmeno a gridare. Ma non è emozione.

E’ solo che quasi mi sfondano la cassa toracica !

Siamo in finale di Coppa delle Coppe.

Siamo la prima squadra britannica che espugna il campo della Juventus.

Siamo ad un passo da un trionfo europeo.

Il “gol benedetto” chiesto dal nostro grande Coach l’ho segnato io.

Sono sul tetto del mondo.

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Paul Vaessen giocherà ancora una ventina di partite con i Gunners. 

Segnerà qualche gol, uno addirittura in un derby con il Totthenam.

Giocherà alcune ottime partite a conferma che il “dopo-Stapleton” i Gunners ce l’avevano già in casa.

Ma proprio contro il Totthenam Hotspurs di romperà il legamento crociato del ginocchio destro.

3 interventi, una protesi dolorosa quanto inutile che porterà per 4 mesi, centinaia di ore di rieducazione. 

Paul-Vaessen-knee-injury

Tutto inutile.

Nell’estate del 1982, quando non ha ancora 22 anni, dovrà abbandonare il calcio.

Il dolore, fisico e morale, di chi si è visto strappare i suoi sogni in un modo così crudele lo avvicineranno alla peggiore delle compagne: l’eroina.

L’Arsenal, colpevolmente, lo scaricherà senza nessun tipo di appoggio, ne morale ne economico. In pochi anni la vita di Paul Vaessen, il nuovo Frank Stapleton, diventerà identica a tanti altri ragazzi come lui caduti nella spirale della tossicodipendenza.

Eroina, carcere, tentativi di riabilitazione … poi ancora eroina, carcere, tentativi di riabilitazione.

Arriva anche un figlio, un breve periodo di serenità, un corso di fisioterapia … ma il dolore al ginocchio aumenta, ora è zoppo. L’eroina lenisce il dolore al ginocchio e al cuore.

In un regolamento di conti in quel torbido mondo si prende sei coltellate. 

In sala operatoria il suo cuore di ferma due volte.

Lo salvano per miracolo.

Il calcio lo ha reso uno storpio, si trascina la sua gamba tra un lavoretto e l’altro … tra un buco e l’altro. 

Racconta spesso del suo “quarto d’ora di gloria” ma ormai quasi nessuno gli crede.

Arriva a pesare poco più di 60 kg, lui che è quasi 190 centimetri.

Non ha ancora 40 anni quando in una calda giornata di agosto il suo corpo senza vita viene ritrovato in un piccolo appartamento di Bristol. 

E’ una overdose a stroncarlo.

Da giorni aveva un terrore in più con cui fare i conti; la possibilità di vedersi amputare la gamba. Occorre una delicata e costosa operazione per evitarlo.

E’ un mercoledì. 

La madre cerca di rintracciarlo disperatamente nelle ore precedenti.

Il giorno prima è arrivata la conferma che i fondi per l’operazione sarebbero arrivati.

Troppo tardi.

La notte di Torino, la “sua” notte, è lontana molto di più di 20 anni.

Sembra un’altra vita, peggio … sembra la vita di un altro.

Si, si può salire sul tetto del mondo … ma cadere da lassù ti uccide.

Riposa in pace Paul.

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Qui sotto il gol alla Juventus. Semifinale di Coppa delle Coppe 1980.

STORIE MALEDETTE : OMAR “EL TURCO” ASAD


el turco

Da sempre ho sognato di giocare a calcio. Quella sarebbe stata la mia vita. Ne ero sicuro. Lo sono sempre stato. Ho iniziato a fare provini dall’età di 13 anni. Non credo esista un solo Club professionale di Buenos Aires dove non abbia tentato di entrare. Ma per un motivo o per l’altro venivo sempre scartato. Il tempo intanto passava ma io non ho MAI smesso di crederci.

Intanto però ero arrivato alla soglia dei 20 anni. Mi mancavano 3 mesi per quella che era l’ultima età possibile per entrare nelle giovanili di un Club. Leggo su un giornale che “alla fine della settimana si chiudono i provini per i ragazzi del ’71 e del ’74”.

Io sono del ’71. Il Club è il Velez Sarsfield. Mi presento al campo dove si svolgerà il provino. Ho i capelli lunghi, la barba non rasata e sono “gordo”, sovrappeso. Non sono un bello spettacolo. Ho con me una borsa di plastica con dentro il mio vecchio paio di scarpette … tacchetti intercambiabili di alluminio. Il campo sembra una lastra di marmo. I piedi mi fanno un male cane e faccio fatica a stare in piedi. Poi penso “anche se mi rompessi tutte le ossa domani non ho niente da fare. Posso starmene a letto o in ospedale”. Per cui chissenefrega. Gioco come se fosse l’ultimo giorno della mia vita. E per quanto riguardava i miei sogni di ragazzino beh … forse lo era davvero.

Segno due gol, nessuno riesce a fermarmi. Quando non riesco a saltare i miei avversari in dribbling o in velocità li butto giù come birilli. Mi dicono che sono piaciuto. “Torna fra un mese e mezzo. Ma quando torni devi essere almeno 6 kg di meno”.

Quando torno di kg ne ho persi 7. Ho fatto una fatica pazzesca, mi sarei mangiato la mia anima dalla fame che avevo. Ma mi prendono. Dopo poche settimane  firmo il mio primo contratto da professionista.

Gioco nel 4° team all’inizio. Per me è già un sogno ma so benissimo che questa è una fase di passaggio, che sarà per poco. Segno a raffica e dopo neanche 6 mesi sono già in prima squadra. Il Mister, il “bambino” Vieira mi convoca e contro il Talleres faccio l’esordio in prima squadra. Puoi anche vincere tutti i trofei che ci sono sulla terra ma quel giorno lì non te lo scordi neanche in mille anni. Alla vigilia ero un fascio di nervi, temevo qualcosa andasse storto, che mi sarei bruciato la mia occasione e sarei tornato a tirar calci ad un pallone in qualche cancha scalcinata del mio povero barrio, Ciudad Evita, dove con il calcio e solo il calcio nella testa ho evitato da ragazzino di finire come tanti, troppi miei coetanei … ucciso in una sparatoria, in carcere o distrutto dalla droga.

Ma una volta in campo capisco che QUELLO è il mio posto, l’unico forse dove non mi sono mai sentito davvero a disagio.

Poco più di due anni dopo arriva colui che trasforma letteralmente la mia vita di calciatore. Trasformando nel contempo quella di una quindicina di miei compagni di squadra e anche quella di qualche milione di tifosi del Velez.

Carlos Bianchi.

Non pago di essere entrato nella leggenda come il più grande attaccante della storia del Club decide di riscrivere la storia del “Fortin”.

E’ con noi da poche settimane. Abbiamo da poco giocato la nostra prima partita ufficiale.  Alla fine del match  ci fa sedere tutti in un angolo dello spogliatoio, quello più lontano dalle orecchie di dirigenti e giornalisti.

Ci dice le parole che cambiano la mia vita di calciatore, che mi portano in un’altra dimensione, che mi convincono che stare nella parte alta della classifica non può e non deve bastare … ne a me ne ai miei compagni.

Ci guarda dritto negli occhi e ci dice “non ho mai visto in tanti anni di calcio un gruppo umile, coeso e affamato di calcio come voi. Con la vostra attitudine arriverete un giorno a vincere la Libertadores”.

Nessuno, nessuno di noi, sorride, fa battute o minimizza. Ci guardiamo in faccia l’un l’altro. Sappiamo che è vero. Possiamo farlo.

Dentro di noi scatta qualcosa. In fondo ha ragione. Siamo praticamente tutti figli di gente povera, umile che di soldi ne ha sempre visti pochi. Avevamo fame, tanta. Altrettanta voglia di lottare, di vincere. E sapevamo giocare a calcio.

Vinciamo immediatamente il Clausura. E’ il 1993. Ho ventidue anni. Ho voglia di misurarmi contro i più forti, di conoscere i miei limiti … che in questo momento sinceramente non riesco a vedere.

L’occasione è immediata; giochiamo la Copa Libertadores, il trofeo più importante del Sudamerica. Ci sono tutti i migliori del continente. Siamo inesperti, giovani e ancora ingenui. Ma ci servirà per fare esperienza dicono. Si, loro dicono così, ma Bianchi che “fuori” si allinea al pensiero generale a noi dice il contrario. “Di chi dovete avere paura ? Di chi ? Voi che conoscete la vita dei Barrios di cosa potete avere paura ? Di giocare davanti a 100.000 persone al Maracana o al Morumbi ? Lo avete sognato da sempre. Quest’anno probabilmente ci andrete davvero. Pensate solo a questo … è un altro sogno che si realizza”.

Andò a finire così.

https://youtu.be/a09XSjwu0yA

Segno il gol decisivo della partita di andata. Ne segnerò tanti, talmente tanti da vincere la classifica marcatori di quella indimenticabile Libertadores.

Siamo sul tetto d’America. Chi lo avrebbe immaginato ? Bianchi continua a dirci che non ci dobbiamo fermare, di non pensarci nemmeno. “Potete riscrivere la storia di questo grande Club ragazzi”.

Mister, senza di lei non avremmo avuto neanche la penna …

Non ci fermiamo, non ne abbiamo alcuna intenzione. Claudio Husain, Roberto Trotta, quel matto di Josè Luis Chilavert … prenderebbero a calci nel culo chiunque tra di noi pensasse di accontentarsi.

A dicembre giochiamo la finale della Coppa Intercontinentale, il Campionato del Mondo per Club. Beh, stavolta è dura davvero ragazzi. Ci sono gli italiani del Milan. Sono 5 o 6 anni che danno lezioni di calcio e che sollevano trofei in serie. Qualche mese prima hanno strapazzato in finale di Coppa Campioni il Barcellona di Cruyff.

Prima di scendere in campo Bianchi ci fissa dritto negli occhi: “di cosa avete paura ragazzi ? Di chi ? … ecc ecc ecc.

Loro sanno giocare a calcio. Per davvero. Ma noi lottiamo su ogni pallone come invasati. Loro sanno giocare a calcio. Una tecnica da far paura ! Boban, Savicevic, Baresi, Maldini … ma noi corriamo, picchiamo, saltiamo quanto e più di loro. Qualche volta sembra quasi che giochino guardandosi allo specchio. Si credono più forti e magari lo sono davvero. Ma a calcio, spesso, vince chi vuole vincere DAVVERO. Chi vuole vincere di più. Loro sono da anni ormai su questi livelli. Magari pensano che torneranno a Tokyo per questa finale ancora l’anno prossimo … e magari anche quello successivo.

Noi no. Noi sentiamo, sappiamo che non capiterà mai più. Alla fine di questa stagione magica arriveranno le lire, le sterline o i marchi tedeschi a portare dall’altra parte del mondo tanti di noi. No, non capiterà più.

E allora proviamoci. Lottando, correndo, picchiando e saltando più di loro.

Roberto Trotta ci porta in vantaggio. Su rigore. Quando l’arbitro concede il rigore ci abbracciamo e festeggiamo come avessimo già segnato. In fondo ai rigori siamo diventati imbattibili. Li sappiamo tirare e Chilavert li sa parare (e anche tirare !).

Trotta calcia uno dei rigori più brutti che io abbia mai visto. Colpisce più terra che palla. Definirlo “sporco” è un eufemismo. Il tiro è tutt’altro che forte ma in compenso … è anche centrale ! Ma Rossi, il gigantote che hanno in porta, è già steso sulla sua sinistra, la palla gli tocca un piede ma in porta, nonostante tutto, ci arriva.

Segno il secondo gol. Tassotti ha la palla. Deve solo fare un semplice passaggio indietro al portiere. Io sono a più di dieci metri dall’azione. Mi sto quasi fermando. Meglio tornare indietro a dare una mano ai miei compagni di centrocampo. Stiamo vincendo uno a zero. Il Milan attacca a ondate con tutti i suoi talenti. Ma, come ho sempre fatto nella vita, ci credo sempre, anche quando sembra impossibile. Ci credo anche stavolta. Non si sa mai mi dico … anche i campioni possono sbagliare.

Chissà che stavolta non tocchi anche ad uno dei terzini più forti del mondo.

E succede davvero ! Il tocco di Tassotti è corto, il loro portiere è quasi due metri e non è certo un fulmine. Arrivo sulla palla prima di lui ma me la porto forse un po’ troppo sull’esterno, ma mi invento una torsione che mette a dura prova i miei legamenti ! I legamenti tengono e, cosa ancora più importante, la palla dopo una parabola che sembra interminabile va a finire la sua corsa a pochi centimetri dal palo lontano.

Ci difendiamo fino alla fine. Con i denti, con Chilavert e con un po’ di fortuna.

Ma ce la siamo meritata tutta.

https://youtu.be/x-YkS4pYfO4

Per altri due anni, nonostante tanti miei compagni decidano di andarsene altrove, continuiamo a vincere. Altri due campionati ad esempio e una Copa Interamericana.

Ma poi ad andarsene è proprio Bianchi. Lo vogliono proprio in Italia, a Roma, la città eterna.

Ma il suo soggiorno è tutt’altro che eterno.

“El fortin” senza di lui non è la stessa cosa.

Se ne vanno quasi tutti. Non io. Io amo il Velez. Amo il mio paese e il mio Barrio. Dove dovrei andare ? in una delle decine di squadre che mi hanno scartato da ragazzo ? All’estero ? No. Io rimango. Il José Amalfitani è la mia seconda casa.

I gol iniziano a farsi più radi, e le ginocchia a indebolirsi. A 29 anni devo lasciare il calcio. Giocavo sempre al limite, non mi sono mai tirato indietro. Mai.

Col senno di poi avrei potuto rischiare meno qualche volta, tirare indietro il piede, o lottare con meno intensità. Ma so che mi sto raccontando balle. Io sono così e non avrei potuto giocare diversamente.

E poi quanti possono dire di aver segnato nella Finale di Copa Libertadores E nella finale di una Coppa Intercontinentale ?

Io si. “El Turco” Asad si.

GOLAZOS !!!!!!!!!!!


Quando nella stessa giornata si vedono almeno 4 gol che potrebbero vincere il titolo di “gol dell’anno” a qualsiasi latitudine qualche domanda bisogna assolutamente farsela ! In un campionato dove segnare è più difficile che in qualsiasi altra parte del pianeta (gli argentini sanno difendere e possono picchiare più che in qualsiasi altro campionato del pianeta) per fare gol spesso occorrono giocate particolari, creative e inaspettate, di pura classe individuale, di potenza oppure con manovre corali mozzafiato.

Bando alle parole … via alle immagini !

ALMEYDA e CERVI : ARRIVEDERCI !


Di questi due ho già parlato ampiamente e più volte da questo piccolo Blog. Che siano due miei personali “pallini” è risaputo.

E purtroppo (per me) e per fortuna (per loro), è arrivato il momento di lasciare il mio adorato calcio argentino per emigrare altrove con l’obiettivo di ampliare il proprio bagaglio tecnico rispettivamente di allenatore e di giocatore e, particolare non disprezzabile, di rimpinguare notevolmente il loro personale conto in banca !

Per Il “pelado” è arrivata la chiamata di uno dei più prestigiosi club messicani, il CHIVAS di Guadalajara, al momento invischiato in una inusuale posizione di centro classifica e che ha deciso di affidarsi a questo allenatore di straordinario talento per risollevare le proprie sorti. Personalmente sapevo benissimo che il Sud America sarebbe stato ancora la destinazione di Almeyda, che per i parametri europei ha vinto ancora troppo poco. Ma il suo destino è segnato; non passerà molto tempo prima di vederlo ripercorrere le strade percorse dai vari Bielsa, Pochettino, Simeone.Almeyda es el nuevo entrenador del cuadro rojiblanco. (Foto: Getty Images)

Diversa è la situazione di Franco Cervi. Ho parlato di lui come uno dei talenti più cristallini emersi dal pur prolifico campionato argentino degli ultimi anni. Il classico “10” capace di scatenare la fantasia dei tifosi. Ebbene, dopo un pugno di partite nella prima divisione argentina con il Rosario Central c’è già stato un grande club europeo sufficientemente coraggioso e lungimirante che ha deciso di investire su questo ragazzo; il Benfica ha chiuso in queste ore la trattativa e ad inizio 2016 il talentuosissimo Cervi sarà un giocatore dei rossi lusitani. Come detto Cervi ha caratteristiche classiche del tipico trequartista: D’Alessandro, Ortega, Buonanotte, Lanzini … solo per citare quattro giocatori molto simili. Ma Franco ha forse qualcosa di più; quella “garra”, quella cattiveria agonistica che spesso latita nei giocatori fantasiosi, creativi e magari un pò “leggerini” e che potrebbe davvero fare la differenza nella carriera di questo giovanissimo calciatore.

Vedere per credere. (nel video parla di 180 cm di altezza … beh, se supera i 170 è di veramente qualche millimetro !)

IL GIORNO DEI “CLASICOS”


Nel “fin de semana” prossimo, tra l’11 e il 13 settembre, il campionato argentino, per la prima volta nella storia con un formato a 30 squadre, presenterà una “fecha” davvero unica; tutti i grandi “clasicos” nel giro di poche ore !

L’Argentina è terra di calcio, dove la passione popolare per questo sport è unica al mondo. E in nessun altro posto al mondo i “clasicos”, ovvero le celeberrime stracittadine assumono un carattere così speciale.

Considerando che praticamente la metà delle squadre di Primera provengono da Buenos Aires o dagli immediati dintorni si potrebbe pensare a derbies prettamente geografici, come succede un pò in Inghilterra dove praticamente ogni settimana almeno due squadre londinese “incrociano i tacchetti”.

In Argentina non è così. E’ molto di più. Qui gli scontri sono quasi di quartiere e le storie sono quelle di “barrios” praticamente confinanti o città praticamente divise in due dalla rivalità cittadina.

Il primo di questi tanti “clasicos” del prossimo week end non è uno dei più conosciuti e neppure vanta una tradizione particolarmente lunga.

Ma negli ultimi anni ha assunto una dimensione importantissima, tanto da collocarlo tra uno dei più caldi, sentiti e combattuti clasicos di tutto il calcio argentino: quello tra BANFIELD e LANUS.

“El clasico del Sur” così chiamato perchè queste due squadre, i cui stadi distano meno di 5 km uno dall’altro, sono entrambe situate nelle due omonime cittadine nella zona a Sud della capitale argentina.

Quest’anno Banfield e Lanus si affrontano con ambizioni importanti visto che entrambe le squadre sono nella zona medio alta (un solo punto divide il “Taladro” dai “Granate”) della classifica ed entrambe con buonissime possibilità di entrare nelle prime 8 e quindi con la possibilità di giocarsi la famosa “Liguilla” per l’accesso alla prossima prestigiosissima Copa Libertadores.

Entrambe le squadre giocano un ottimo calcio. Il “Taladro” Nelson Vivas, manager ad hinterim dopo l’abbandono di Matias Almeyda ha mantenuto uno stile di gioco molto simile a quello del “pelado”, puntando sempre “a fare la partita” attaccando in massa e con giocatori del talento di Cazares, Erviti e soprattutto il talentuosissimo Giovanni Simeone, figlio del “Cholo” Simeone e centravanti vecchia maniera, letale negli ultimi 16 metri. Dal canto suo i “Granate” hanno altrettanto talento, sia in difesa con il roccioso Monteseirin che da metacampo in su dove giocatori del calibro di Lautaro Acosta e Oscar Benitez in particolare possono mettere in difficoltà qualsiasi difesa.

Nella sintesi in allegato un piccolo antipasto con le immagini di un caldissimo e spettacolare “clasico del Sur” di pochi anni fa, quello del Clausura 2012.

… solo lo spettacolo offerto dalle tifoseria è già una garanzia di per se …

Buon divertimento.