IL CAMPIONE DEL PASSATO : ALDO POY


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ALDO POY: L’uomo della “Palomita”

Le “bandiere” nel calcio hanno sempre avuto un fascino particolare; basti pensare a Pelè, Bobby Charlton, Gianni Rivera, Gigi Riva, Sandro Mazzola, Steven Gerrard, Francesco Totti … solo per citarne alcuni. Anche l’Argentina ha i suoi ovviamente … ma sono veramente pochi quelli che possono competere per importanza, carisma e fascino con il nostro protagonista.

La storia di oggi parla infatti dell’uomo che per 10 stagioni (fino ahimè ad un brutto infortunio che ne ha interrotto anzitempo la carriera) ha rappresentato una squadra e che ancora oggi impersona i valori di una delle grandi di Argentina; quest’uomo è ALDO PEDRO POY e il team è il ROSARIO CENTRAL.

Intanto perché è nato in Arroyito che è a poche centinaia di metri dallo stadio, poi perché tutta la sua famiglia da sempre è tifosa delle “Canallas” gialloblu e infine perché lì e dove Aldo voleva giocare a calcio e dove ha giocato per tutta la sua carriera.

Ancora oggi, nonostante una brillante carriera politica, Aldo è il Rosario Central. Ovunque vada in Argentina c’è sempre qualcuno che gli grida “Vamos Central todavia !” e lui ne è orgoglioso, ancora oggi come lo era allora da giocatore.

In fondo, ci tiene a ricordarlo in ogni intervista, “quale altra squadre al mondo è capace di aumentare i suoi soci di ben 7.000 unità dopo una retrocessione ?” … cosa che capitò realmente alle “Canallas” rosarine quando nel maggio del 2010 arrivò la retrocessione dalla Primera.

Gli inizi di Poy non furono esattamente trascendentali … anzi. Dopo l’esordio in prima squadra avvenuto nel 1965 il giovane attaccante fatica parecchio ad imporsi. Gran movimento, notevole foga agonistica e impegno ma gol … pochini. Nelle prime 5 stagioni in 130 partite la miseria di 15 gol. Il pubblico lo sostiene all’inizio ma poi gli scettici si moltiplicano e anche il Club finisce per non ritenerlo all’altezza di un team in grande crescita e con importanti ambizioni. Il Rosario Central si accorda con un altro Club di Prima Divisione, il Club Atletico Los Andes per il trasferimento del giovane attaccante, dove il Mister, Don Angel Zof, crede invece ciecamente nelle doti del ragazzo.

Ma Aldo non ne vuole sapere. Il suo amore per i colori della sua squadra non può venire messo in discussione. Lasciare la sua squadra del cuore ? Non se ne parla neppure ! E così quando i dirigenti del Los Andes arrivano a Rosario per accordarsi con lui e ufficializzare il trasferimento … Aldo scappa di casa ! Non si fa trovare, va a nascondersi fuori città, in una isoletta del Paranà fuori Rosario in un ranch di un amico ! Rimane lì qualche giorno per riapparire insieme al resto del team sul pullman della squadra che stava andando a giocare a Buenos Aires ! A quel punto, il Presidente del Rosario Central Victor Vesco, si arrende. Per la grande gioia di Poy non se ne fa nulla … Aldo rimane al Central.

Ed ecco, come capita quasi solo nelle favolette per bimbi, la svolta decisiva per Poy e, da li a poco, anche per il Club rosarino. Infatti proprio Don Angel Tulio Zof assume la guida tecnica del Club e nei pochi mesi in cui rimane alla guida fa di Poy il suo punto di riferimento offensivo principale. E Aldo risponde alla grande; nel 1970 nelle 19 partite giocate segna quasi quanto nelle 130 precedenti ! 12 gol sono un eccellente bottino e quando arriva sulla panchina delle “Canallas” il leggendario Angel Labruna Aldo Poy è diventato intoccabile e la squadra, con giocatori del valore di Pascuttini, Gonzalez e Landucci, arriva così a conquistare nella stagione successiva il suo primo titolo della storia, vincendo il Nacional del 1971.

E proprio in quella stagione arriva quella che ancora oggi è vissuta e considerata come la più grande gioia nella storia dei gialloblu di Rosario … e al centro della storia c’è proprio Aldo Poy e la sua celeberrima “palomita”. E’ il 19 dicembre del 1971 e in semifinale ad attendere il Rosario Central ci sono i nemici storici, cioè l’altro team di Rosario, il Newell’s Old Boys. Il match deve essere giocato in campo neutro e la sede designata è il Monumental di Buenos Aires, la casa del River Plate. Da Rosario si muovono in più di 40.000 per il match e molti di loro viaggiano fianco a fianco ai tifosi avversari … altri tempi ! La partita è tiratissima, equilibrata e dura. Ma improvvisamente Aimar apre il gioco sulla fascia per il “negro” Gonzalez che mette in mezzo una palla tesa e a mezza altezza … la palla ideale per Poy che si lancia in tuffo impattando la palla di testa e mettendola in rete con una potenza devastante. E’ il gol partita. La metà di Rosario, quella gialloblu, impazzisce e ora manca solo un ostacolo prima di arrivare al primo titolo nella storia del Club; il San Lorenzo, eccellente team anche in quell’epoca. Per un gioco del destino (assai crudele per i “leprosos” del Newell’s) la finalissima, ovviamente in campo neutro, sarà giocata proprio nella “cancha” dei rivali storici del Rosario … il Newell’s appunto. Ma è tutto scritto e anche dopo un avvio incerto e il vantaggio iniziale del San Lorenzo il Rosario reagisce e vince l’incontro per 2 a 1 consacrandosi per la prima volta campione di Argentina.

Da quel momento per il Rosario Central e per Aldo Poy arrivano stagioni eccezionali, con altre finali, con un altro titolo nel 1973 con eccellenti prestazioni anche in Libertardores. Per Poy la carriera è in costante ascesa e arriva, a 28 anni anche la chiamata nella Nazionale Argentina dove giocherà però solo due incontri facendo parte però della spedizione biancoceleste ai mondiali di Germania del 1974. Proprio in quell’anno però, esattamente a dicembre, in un incontro guarda caso contro gli acerrimi rivali del Newell’s in un scontro con il roccioso difensore Mario Zanabria Poy si infortuna gravemente ad un ginocchio. Si sottopone ad una prima operazione ma con risultati negativi. Arriva una seconda operazione ma per il Bomber rosarino non c’è nulla da fare; la sua carriera si interrompe bruscamente, nel momento migliore, con il Rosario Central ai vertici del calcio argentino. Proprio in quei mesi stava esplodendo nel team un “certo” Mario Kempes con il quale Poy stava trovando una intesa sul campo eccellente. Poy rimane per qualche tempo nel calcio ma l’amore per il suo Paese e la sua città in particolare fanno si che trovi il modo di rendersi utile, ancora oggi, come politico attivo e impegnato per Partido Democrata Progresista.

Ma soprattutto di lui, indelebile nei ricordi dei tifosi gialloblu rimane la sua “palomita”, il suo volo a colpire di testa quel pallone che lo ha consacrato come una delle icone assolute del calcio argentino.

ANEDDOTI E CURIOSITA’

Il gol di Poy in quella famosa semifinale viene ancora oggi, a distanza di ben 46 anni, festeggiato tutti gli anni da un gruppo di tifosi rosarini e dallo stesso Poy, che ricostruiscono in un campo di calcio l’azione che portò a questa famosissima segnatura e ogni anno viene scelta una location diversa. (Barcelona, Mallorca, Montevideo, Miami ecc.) Questa celebrazione ha assunto una fama tale che c’è ancora in corso una richiesta da parte dei tifosi del Rosario Central al famoso “Guinness dei Primati” per entrarvi come il gol più celebrato della storia ! Nel 1997 ad esempio, il gol è stato riproposto e ricostruito addirittura all’Havana di Cuba, alla presenza di Ernesto Guevara, figlio del “Che”, forse il più famoso tifoso del Rosario Central della storia.

Al matrimonio di Poy, avvenuto a Rosario nel 1972, furono così tante le persone accorse che volevano vedere il loro idolo nel momento più importante della sua vita personale che la piccola chiesa di Perpetuo Socorro nella Avenida Alberdi venne presa d’assalto da migliaia di tifosi del Cantral tanto che il parroco celebrò il rito in poco più di 15 minuti prima, sono le parole del prete “che mi distruggano la chiesa” visto che c’era gente in piedi sui banchi, sul tetto dei confessionali e qualcuno anche in piedi dietro l’altare !

Dopo la famosa “palomita” al Newell’s era tanta la autostima di Poy che spesso cercava di innervosire i portieri avversari ad ogni calcio d’angolo o ad ogni calcio di punizione laterale rivolgendosi ai fotografi piazzati dietro la porta avversaria dicendo loro “preparatevi a scattare perché sto per segnare con il mio classico colpo di testa in tuffo”.

Anche, per lui, come per altri giocatori di quel periodo, la scelta di fedeltà alla propria squadra o al proprio paese rinunciando a più ricchi contratti altrove. Per Aldo si mossero squadre come il PSG o il Celta di Vigo ma non prese mai seriamente in considerazione l’ipotesi di lasciare il Rosario Central anche se, con molta onestà, ammette che “allora la differenza economica non era così enorme come ora. Oggi sarebbe impossibile per chiunque rinunciare ad un contratto all’estero con le differenze attuali”.

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IL MEGLIO DEL 2014


Un caro augurio di un Sereno Natale ai tantissimi amici (sono “basito” da quanta gente ha visitato questo piccolo Blog !) con 3 regalini per evidenziare ancora una volta come il CALCIO ARGENTINO sia davvero UNICO !

Un abbraccio e buon divertimento !

Remo

LA FOTO DELL’ANNO


Quando il grandissimo Bill Shankly, l’uomo che INVENTO’ il Liverpool fc, disse che “il calcio non è una questione di vita o di morte … è molto più importante” non poteva certo immaginare che circa 50 anni dopo averla detta qualcuno avrebbe immortalato IL MOMENTO in cui questa frase, apparentemente esagerata e fanatica, avrebbe invece avuto più che mai un senso.

I due nella foto sono un nonno e un nipotino, entrambi tifosi del Racing che reagiscono così al fischio finale del match che una settimana fa ha consacrato l’Academia campione di Argentina. Momento tenerissimo dove la gioia condivisa è esattamente la stessa, nonostante la differenza di età

Ma per fortuna una troupe televisiva ha fatto di più; è andata a scovare prima la ragazza che ha immortalato questo tenerissimo e toccante momento e poi addirittura il nonno e il bambino.

Non ci sono sottotitoli … ma le emozioni non hanno quasi mai bisogno di parole.

Cartolina dal Cilindro de Avellaneda. Nonno e nipote in lacrime per il Racing Campeon.

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STORIE MALEDETTE : UNA COPPA SPORCA DI SANGUE


“Prima elimineremo i sovversivi, poi i loro collaboratori, poi i loro simpatizzanti. Successivamente quelli che resteranno indifferenti e infine gli indecisi” Gen. JORGE RAFAEL VIDELA

Non si può parlare dell’Argentina e del suo calcio facendo finta che quello che accadde nel 1978 fu qualcosa di “normale”. Per quanto l’argomento sia delicato occorre tornare un pochino più indietro e provare a spiegare quello che accadde in quei giorni, perché la passione per il calcio di questo meraviglioso popolo ha dovuto convivere e camminare a fianco di una delle più spaventose e sanguinarie dittature della storia del 20mo secolo.

Che lo sport sia spesso stato usato per i più biechi fini di propaganda è risaputo. Ma in nessun altro caso, escluse forse le Olimpiadi Berlinesi del 1936 volute fortemente da Adolf Hitler, un evento sportivo è stato tanto strumentalizzato quanto i Mondiali di calcio disputati in Argentina nel 1978. Intanto partiamo mettendo in chiaro uno dei tanti equivoci che ancora oggi si leggono in giro; i Mondiali di Argentina non sono stati caldeggiati e voluti dal regime di Videla.

Videla prende il potere in Argentina con un colpo di stato il 24 marzo 1976, quindi a poco più di due anni di distanza dall’inizio del Mondiale argentino. Ora, sappiamo tutti benissimo che i mondiali vengono assegnati mediamente 10-12 anni prima del loro effettivo svolgimento per cui si sapeva fin dal termine dei Mondiali inglesi del 1966 che l’Argentina era stata prescelta per organizzare i Mondiali del 1978.

Altrettanto ovvio che un regime che fin dall’inizio, grazie anche all’appoggio incondizionato degli Stati Uniti d’America e del suo segretario Henry Kissinger in particolare, usufruisce di grandi mezzi economici per la macchina propagandistica (la celeberrima Burson & Marsteller, società americana di pubbliche relazioni viene incaricata di occuparsi della promozione dell’evento) ha davvero la possibilità di influenzare l’opinione pubblica in maniera rilevante. E di questo Videla e i suoi stretti collaboratori ne sono assolutamente consapevoli.

Sono tanti però gli ostacoli da affrontare; primo fra tutti quello di un Paese in grosse difficoltà economiche e dove la miseria è radicata in tantissimi quartieri delle principali città argentine che saranno sedi degli incontri per cui occorre una bella “riverniciata” per nascondere agli occhi del mondo questa vergogna … e qui si riescono a “toccare” vette sublimi di creatività ! Alcuni quartieri vengono praticamente rasi al suolo e gli abitanti trasferiti in cittadine di provincia oppure, geniale !, tirare su dei muri come accadde ad esempio nel centro di Rosario, dipingerli con immagini di case meravigliose nascondendo aldilà di questi muri la miseria di Barrios scalcinati e impresentabili.

Ma ovviamente non finisce qui; l’Argentina sta per essere invasa non solo da “occhi” stranieri e dalle loro televisioni ma da centinaia di giornalisti che ovviamente andranno in giro a raccogliere informazioni e a parlare con la gente. Certo, si può pensare di “rinchiuderli” in meravigliosi alberghi e tentare di controllare o guidare i loro movimenti … ma il rischio è troppo grande. E così, fin da subito, inizia una campagna di “pulizia” condotta in modo tale che chiunque simpatizzasse con qualsiasi idea che non fosse quella strettamente di regime, non doveva avere l’occasione di raccontare “un’altra Argentina” agli ospiti stranieri. In verità le sparizioni degli oppositori al regime, conclamati o sospetti, iniziano fin dal 1976, ma ora il problema diventa impellente e lo sforzo va quantomeno raddoppiato.

Quasi 10.000 argentini spariscono nel nulla, (questi sono solo i dati ufficiali, assolutamente approssimativi) finendo nel Mar de la Plata dopo essere magari passati sotto gli strumenti di qualche gruppo di abili torturatori, come ad esempio quelli che avevano il quartier generale alla “Escuela de Mecanica de l’Armada” a poche centinaia di metri dallo stadio Monumental dove si disputò la finalissima.

Ma tutto questo “sforzo” aveva un senso solo se finalizzato alla vittoria finale del campionato da parte dell’Argentina, estremo e definitivo segnale che il Paese stava davvero cambiando volto dopo anni di conflitti sociali, di violenze e di governi instabili e deboli come quelli di Juan Domingo Peron o della moglie Isabela o, peggio, quello sfacciatamente di sinistra durato in realtà pochi mesi di Hector Campora del 1973 (guarda caso anche quello, come nel vicino Cile, eletto dal popolo in elezioni libere).

Per arrivare a questo Videla non solo arriva a sopportare, a volte con grande sforzo, che la Nazionale argentina sia guidata da un radicale di sinistra come “El flaco” Cesar Menotti ma anche ad impegnare grandi risorse economiche per garantirsi la certezza che il Perù, ultimo ostacolo tra l’Argentina e la finale mondiale, giocasse quantomeno con il freno a mano tirato nella partita decisiva per l’accesso alla finale, dove ricordiamo l’Argentina doveva vincere con ben 4 gol di scarto e riuscì nell’impresa di segnarne addirittura 6.

Nei giorni del Mondiale sono a migliaia le persone che vengono fatte sparire ma l’unica protesta vera e organizzata in un momento dove il Paese è anestetizzato dal grande evento, è quello delle donne di Plaza de Mayo che in circolo, e in assoluto silenzio, percorrevano la Piazza ricordando a chi passava da quelle parti che qualcosa di assai poco pulito stava accadendo in quel Paese.

Il dubbio rimarrà per sempre su quanto si è voluto o non voluto vedere da parte di tutti, su quanto i calciatori argentini fossero consapevoli o meno di quanto stava accadendo, su quanto gli organi di informazione mondiali avrebbero potuto fare in più o quanto valore abbiano tutte le prese di posizione postume di atleti, giornalisti, scrittori o politici … l’unica certezza che abbiamo è quello che disse Cesar Menotti ai suoi giocatori prima di scendere in campo nella finale contro l’Olanda; “Noi non giochiamo per quei delinquenti in tribuna d’onore … non guardateli neppure. Noi giochiamo per il popolo argentino ed è per loro che dobbiamo andare in campo e vincere”.

http://youtu.be/liZoRuo0P8s

LA STAR DEL FUTURO : SEBASTIAN DRIUSSI


Vista l’età (18 anni compiuti da pochi mesi) potrebbe sembrare azzardato ritenere questo ragazzino, con una manciata di presenze nella prima squadra del River Plate, una star del futuro … ma basta andare a sfogliare le pagine della sua pur brevissima carriera per capire che Sebastian Driussi è il classico predestinato.

Quanti giocatori conoscete che a 11 anni ricevono 40.000 dollari da una società per garantirne la continuità nel Club più altri 60.000 dollari per una serie di obiettivi da raggiungere nelle giovanili e quindi prima ancora di esordire in prima squadra ?

Essere capocannoniere del suo campionato giovanile ? Obiettivo raggiunto

Giocare nella rappresentativa Under-15 argentina ? Obiettivo raggiunto

Giocare in quella Under-17 ? Obiettivo raggiunto. Con una piccola postilla: Diventando Campione Sudamericano della categoria nel 2013 con la nazionale Argentina conquistando il trofeo di Capocannoniere di Miglior giocatore del Torneo.

Sempre nel 2013 avviene il suo esordio con la prima squadra del River Plate contro l’Argentinos Juniors e in questa stagione il suo primo gol ufficiale, in Copa Sudamericana contro i paraguaiani del Libertad arriva il suo primo gol ufficiale.

Ora è alle porte della prima squadra e non sarà facile scalzare i vari Cavenaghi, Mora o Gutierrez anche perché ci sono altri giovanotti di grande spessore a lottare per un posto nell’attacco dei Millionarios, come Lucas Boyè, Giovanni Simeone (el Cholito, figlio del Cholo Simeone, mister dell’Atletico Madrid) o Juan Cruz Karpof. Ma, rispetto a tutti questi, Driussi ha un grande vantaggio; può giocare in tutti i ruoli dell’attacco essendo un attaccante veloce e con grande tecnica (quindi classica seconda punta) ma sufficientemente forte fisicamente e in acrobazia (anche se è solo 179 cm) per fare la prima punta e allo stesso tempo si sa disimpegnare ottimamente anche come “enganche”, cioè come trequartista/rifinitore dietro le punte.

Insomma, le qualità ci sono tutte. Personalmente mi aspetto di vederlo andare in prestito in qualche piccolo Club comunque di Primera perché a questa età occorre giocare con continuità e mostrare settimana dopo settimana di meritarsi le attenzioni e le “coccole” di un grande club come il River. Sarà probabilmente la stagione decisiva per vedere se tutte le straordinarie premesse mostrate finora da questo ragazzo saranno mantenute … ma la sorpresa sarebbe se dovesse fallire … non se facesse sfracelli !

UN REGALO DIRETTAMENTE DA ROSARIO ! EL TRINCHE !!!!


La grandissima gioia nel vedere i tanti amici vecchi e nuovi che hanno apprezzato la storia su questo giocatore leggendario era già enorme … quello che è capitato ieri sera grazie all’amico Claudio, direttamente da Rosario in Argentina, mi ha letteralmente mandato in visibilio … quello che vedete nella foto sotto è proprio lui, “EL TRINCHE” in una foto di VENERDI’ SCORSO, 12 dicembre, durante una festa al suo vecchio Club, il Central Cordoba. I capelli sono un pò più grigi, ma lo sguardo è sempre lo stesso … quello di un uomo BUONO che ha amato il calcio nella sua essenza più assoluta e pura: quello di divertire divertendosi un mondo. Grazie ancora CLAUDIO

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IL CAMPIONE DEL PASSATO : TOMAS “EL TRINCHE” CARLOVICH


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“EL TRINCHE” CARLOVICH

di Remo Gandolfi

Che sia una storia unica, meravigliosa e a tratti commovente è una certezza; quanto poi di questa storia ci sia di reale o quanto sia semplicemente una leggenda ingigantita negli anni, nei racconti tramandati o nella fantasia di qualche giornalista o ex-calciatore è in realtà tutto da dimostrare.

Ma quando perfino Maradona dice che il più grande di tutti non è stato lui e non è stato neppure Pelè ma è stato “El Trinche” Carlovich … beh, qualche valutazione bisogna farla ! Continua a leggere

STORIE MALEDETTE : DIEGO ” El Enano” BUONANOTTE


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Sono passati quasi 8 anni dalla notte maledetta che cambiò la vita di Diego Buonanotte, allora ventunenne star dei “Millionarios” del River Plate.

E’ il giorno di S. Stefano del 2009, sono le 6.30 del mattino e Diego sta viaggiando con l’automobile del padre (una Peugeot 307) insieme ai suoi tre grandi amici d’infanzia, quelli a cui sei legato a doppio filo e che neanche la fama, le copertine, il denaro e i trofei possono allontanare dalla tua vita.

Si è appena conclusa la stagione calcistica argentina nella quale Diego, pur non avendo fatto gli autentici sfracelli della stagione precedente quando fu determinante nella conquista del titolo del River (vedere l’articolo e il video “River Plate: le immagini di un trionfo “ nel Blog) ha confermato in pieno tutte le attese riposte su di lui non solo dal River ma da tutta l’Argentina.

Per i 4 ragazzi c’è in programma una piccola vacanza in Brasile e si stanno dirigendo all’aeroporto di Buenos Aires dopo una serata tranquilla tra amici, dove hanno giocato a paddle tennis e a calcetto prima di chiudere la serata in Pub.

Sono nei pressi di Santa Fè (ad Arribenos per la precisione) e stanno viaggiando sotto un diluvio.

Improvvisamente Diego, che è alla guida, perde il controllo dell’automezzo, sbanda e finisce la sua corsa contro un albero sul ciglio della strada.

I suoi 3 amici muoiono tutti sul colpo.

Per il talentuoso giocatore del River “solo” fratture (all’omero e alla clavicola) e una grave lesione al polmone che per qualche giorno terrà in apprensione staff medico, famigliari, amici e tutti i tifosi del popolo biancorosso del Monumental.

Diego per fortuna si riprende velocemente.

La botta è tremenda ma i medici dicono che “El enano” (visti i suoi 160 cm scarsi di altezza) tornerà sui campi di calcio, anche se i tempi saranno lunghi.

A questo punto però si scatena il solito stupido, volgare “fuoco mediatico” di giornali e televisioni.

Per tutti o quasi, Buonanotte è il responsabile e i motivi dell’incidente sono quelli tradizionali per i quali crocifiggere Diego in quattro e quattrotto; gli eccessi classici di ragazzotti viziati e con troppi soldi in tasca.

Giustizialisti quasi tutti, garantisti pochi, se non quelli che conoscono bene Diego, ragazzo tranquillissimo e posato senza nessuno dei “vizi” classici di tanti ragazzi che alla sua età incontrano successo e fama.

In realtà dopo pochi giorni arrivano i risultati delle analisi effettuate immediatamente dopo l’incidente; droga e alcool non c’entrano affatto.

Il processo per omicidio colposo si chiude due anni dopo dove non solo si assolve completamente Buonanotte per qualsiasi tipo di negligenza ma dai riscontri effettuati dai periti la causa è da far risalire al classico “acquaplaning” causa purtroppo di tanti altri incidenti.

E non solo.

Arriva un altro riscontro probabilmente decisivo; Diego era l’unico in quella notte maledetta ad avere le cinture di sicurezza allacciate.

I problemi però non si risolvono con una semplice sentenza che assolve l’uomo; l’anima di Diego è ferita per sempre e ancora oggi, a sette anni abbondanti dall’incidente è seguito in terapia da uno staff di psicologi.

Meglio non approfondire troppo l’accoglienza ricevuta da Diego in praticamente tutti gli stadi d’Argentina (gli idioti nascono a tutte le latitudini, non serve stupirsi o scandalizzarsi) che lo accolgono con insulti di ogni tipo dove “asesino” è solo uno dei più in voga.

Il River lo blinda con un lungo contratto (fino al 2015) ma per lui in Argentina diventa impossibile giocare.

Arriva per lui un trasferimento in Spagna al Malaga, allora una delle squadre di punta del campionato spagnolo ma Diego non mantiene fede alle promesse di poche stagioni prima ai suoi esordi nella Primera argentina.

Per lui qualche buona prestazione ma mai un posto da titolare e nella ventina di presenze in due stagioni due soli gol, di cui uno in Champions contro lo Zenit di Spalletti.

Due anni dopo Diego approda al Granada ma neppure qua si riesce a rivedere il giocatore che aveva entusiasmato gli hinchas dei Millionarios.

Poi arriva per Diego il prestito al Pachuca nel campionato messicano dove a sprazzi mostra ancora qualcuna delle caratteristiche che lo hanno messo in evidenza, come il dribbling secco e un sinistro velenosissimo, ma, anche se Diego ha in fondo ancora solo 28 anni, pare che il grande calcio sia per lui ormai solo una chimera e i tanti Clubs che nel passato si sono avvicinati a lui (anche Milan, Napoli e Palermo si erano interessati in passato al talentino argentino) paiono ormai consapevoli che ben difficilmente “El enano” tornerà ad essere quello di prima.

Un breve rientro in Argentina al Quilmes (dove segnerà, senza esultare ovviamente, proprio al “suo” River Plate) a seguire un salto nel campionato greco con l’AEK di Atene dove gioca ad un buonissimo livello e poi l’ultimo trasferimento, in Cile all’Universidad Catolica, dove pare stia recuperando gran parte del suo talento, con grandi prestazioni e tantissimi gol e dove addirittura arriva ad essere consacrato il “Miglior calciatore del campionato” nella scorsa stagione.

Chissà … forse la parabola di Diego non si è ancora conclusa e magari risentiremo ancora parlare di lui ad alti livelli e in campionati più importanti.

Intanto però nella vita di Diego è arrivata la bellissima Jenny Ferre, sua moglie ormai da quasi tre anni  e insieme a lei Diego potrà con ogni probabilità ritrovare quella serenità e quella gioia di vivere che un ragazzo della sua età DEVE avere … e lasciarsi così alle spalle definitivamente quella terribile notte di S.Stefano di sette anni fa.

Buona fortuna Diego.

LA STAR DEL FUTURO : JOAQUIN CORREA


JOAQUIN CORREA

Joaquin “Tucu” Correa non è una semplice promessa; è una certezza. Tempo un paio di stagioni e sarà titolare inamovibile della Nazionale argentina, con lui sulla fascia sinistra e Angel Di Maria su quella di destra. Nel frattempo resta da vedere quale grande squadra europea sarà così lungimirante e oculata da investire su questo assoluto talento calcistico.

Correa nasce in sobborgo di Tucuman (da qui uno dei suoi soprannomi, l’altro è “l’habil”) il 13 agosto 1994. Fa il suo esordio in un match di campionato contro il Banfield nel maggio del 2012 quando deve ancora compiere 18 anni. In realtà i suoi esordi da ragazzino sono per i “Millionarios” del River Plate ma la lontananza da casa si rivela un problema per il piccolo Joaquin e al suo rientro a Tucuman c’è la Scuola Calcio “Renato Cesarini” (si proprio dedicata all’uomo famoso per segnare nei finali di partita !) che lo attende e lo forma. Ben presto l’Estudiantes si accorge di lui e inizia così la trafila nelle giovanili del “Pincha”. Joaquin è magrolino e questa fragilità fisica e la sua avversione ai contrasti e al calcio fisico fa temere ai Responsabili del Club biancorosso che il talento di questo ragazzo possa non sbocciare completamente. Per fortuna sua, dell’Estudiantes e di tutto il calcio argentino, Joaquin cresce (arriva agli attuali 188 cm, che per un esterno/trequartista è una altezza “anomala”) e pur con i suoi 75 kg che lo rendono comunque uno dei tanti “flacos” del calcio argentino riesce a non essere più soverchiato fisicamente come accadeva negli anni della sua adolescenza.

Nel 2011 viene eletto “giocatore rivelazione” delle giovanili e come detto, l’anno successivo arriva la consacrazione in prima squadra. Da allora la carriera di Correa non ha subito contraccolpi ma è stata una continua, inesorabile ascesa verso gli attuali altissimi livelli.

Correa viene utilizzato spesso come esterno sinistro dal manager del “Pincha” Mauricio Pellegrino in un 4-4-2 abbastanza “scolastico” che probabilmente limita un tantino la capacità creativa di questo giocatore che comunque, pur partendo da sinistra, ha la possibilità di svariare su tutto il fronte d’attacco, anche perché come destro naturale è ovviamente portato a rientrare verso il centro del campo. Molto probabilmente (ma è una opinione assolutamente personale) Joaquin sarebbe molto più efficace giocando in un 4-2-3-1 dietro la prima punta ma è anche comprensibile la scelta di Pellegrino visto che in Vera e Carrillo (mio “pallino” assoluto !) ha due attaccanti effettivamente molto abili e ai quali è difficile rinunciare.

Per Correa i giorni all’Estudiantes paiono però contati; nonostante lo sforzo del Presidente del Club (un certo Juan Sebastian Veron) di trattenerlo per almeno un’altra stagione le sirene dei grandi Clubs europei paiono ormai irresistibili per il giovane talento di Tucuman. Il Benfica di Lisbona pare in questo momento in pole-position con il PSG come prima alternativa anche se voci di un interessamento dell’Inter (dove la colonia argentina è ancora molto forte) paiono abbastanza fondate. Ovvio che arrivare eventualmente nel campionato italiano a poco più di vent’anni non sarà facile per il talentuso “volante” argentino … ma con un briciolo di pazienza sono certo che potrebbe rivelarsi una delle scelte più felici della squadra nerazzurra negli ultimi anni.

Vedremo. Nel frattempo segnatevi questo nome: Carlos Joaquin Correa.