STORIE MALEDETTE: FRANK WORTHINGTON


“IL GEORGE BEST DELLA CLASSE OPERAIA”

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Stavolta ci voglio provare davvero !

Giuro !

D’altronde se ti chiama direttamente Bill Shankly non puoi non prendere sul serio la cosa.

Mi vuole con lui al Liverpool.

Ragazzi ! Al LIVERPOOL !

In Inghilterra è praticamente impossibile sperare in qualcosa di meglio.

Ok, Leeds e Arsenal sono squadroni e il Manchester United ha sempre un grande prestigio, ma il fascino dei Reds e del suo manager non hanno rivali.

Era da un po’ di tempo che mi dicevano che al Leeds Road avevano visto prima Joe Fagan e poi Bob Paisley a vedere le partite dell’Huddersfield.

Beh, di sicuro sono tornati dopo che a febbraio ci abbiamo giocato contro qui da noi !

La serata prima del match l’ho passata al The Royal Swan, l’unico pub di Huddersfield dove puoi sperare di rimorchiare qualche ragazza decente.

Quella sera non avevo alcuna intenzione bellicosa !

Giuro !

“Mi faccio due birre con Mike e Tommy e poi a nanna” mi sono detto.

Poi è arrivata lei.

Una autentica bellezza della natura ma di quelle bellezze con cui la natura decide di giocare quegli scherzi che a noi maschietti piacciono tanto …

Si perché così alta, magra e con fianchi stretti che sembrano disegnati non ci sta proprio che abbia anche due bocce del genere !!!

Si è seduta al nostro tavolo insieme all’amica e ha iniziato a parlare con Tommy.

“Con Tommy ?” ho pensato.

Tommy di solito è quello che in gruppetto di tre ragazze si becca … la quarta !

Neanche un minuto dopo però tutto è tornato nella normalità.

Si è girata infatti verso di me “Ciao, io sono Madeleine, Maddy per tutti”.

“Perfetto. Allora io ti chiamerò Madeleine visto che io non sono “tutti” …

Ok, stringiamo.

Abbiamo passato la notte da me e dopo aver dormito si e no tre ore quando le ho detto che di lì a poco sarei dovuto uscire per andare a giocare a calcio ha sgranato gli occhioni e mi ha sussurrato un “te ne vai e mi lasci così ?”

Ovvio che no ! Secondo voi si può ?

Contro il Liverpool mi sono trascinato per novanta minuti e per fortuna che sono uno di quei pochissimi giocatori rimasti in giro che anche nelle giornate peggiori (e quella era decisamente una di quelle giornate) qualcosa può sempre inventarsi per cui il Boss Ian Greaves ha deciso di tenermi in campo fino alla fine.

Fatto sta che più o meno una settimana fa mi chiama proprio lui, Bill Shankly.

“Aye figliolo. Mi dicono tutti che sai giocare a calcio. Mercoledì sera ti ho visto contro il Coventry e me ne sono convinto anch’io. Ti vogliamo qui con noi all’Anfield. Sai figliolo, qui vogliamo vincere tutto e con tre attaccanti come te, Keegan e Big John Toschack sono sicuro che sarà molto più facile” mi dice il Boss con il suo clamoroso accento scozzese.

Poi mi da appuntamento per il martedì mattina successivo.

Visite mediche e firmiamo il contratto.

“Ok Boss” gli rispondo entusiasta.

Poi subito dopo ho pensato “merda ! Il giorno prima è un “Bank Holiday”

“Cavoli, una serata di festa e a me toccherà starmene buono in casa” ho pensato.

“Vabbè Frank” mi son detto “Mi sparo qualche disco del mio adorato Elvis e poi a nanna.

Volevo farlo davvero !

Giuro !

Ma come si fa a starsene in casa in una giornata di festa ?

Claire la conoscevo gìà e quando mi ha chiamato per andare “a bere una cosa” a Manchester non ci ho pensato due volte.

Che spasso di ragazza !

Sia quando è in piedi che quando è coricata …

Fatto sta che quando mi sono presentato a Liverpool martedì mattina ammetto che non ero esattamente un fiore.

“Figliolo, non ti bastano i soldi che guadagni con il calcio ? Fai anche i turni di notte in fabbrica ?” mi da detto Shankly appena mi ha visto.

Barcollando ho fatto praticamente tutto quello che mi hanno chiesto i medici del Liverpool e avevo già praticamente la penna in mano per la firma.

Poi però è arrivata la sorpresa, assai poco piacevole: pressione sanguigna completamente fuori dai parametri accettabili per uno di neppure 24 anni.

Me l’hanno provata 3 volte.

Sempre uguale.

“Figliolo, in queste condizioni non puoi giocare a calcio” mi ha detto il cortese e allibito medico sociale del Liverpool.

Mi accompagna nell’ufficio di Shankly e gli spiega la situazione.

Il manager scozzese aggrotta le sopracciglia e rimane in silenzio per due minuti buoni.

Mi gioco l’ultima carta “Probabilmente sono ancora sottosopra per la morte di mio padre Boss che se ne è andato il mese scorso” gli faccio.

“Sa, gli ero davvero molto affezionato”

Il che è verissimo per l’amor di Dio ! … ma dubito che possa aver influenzato a tal punto la mia pressione sanguigna.

L’espressione del volto di Shankly non cambia di una virgola.

“E’andata” penso.

Il famoso treno che dicono passi una sola volta nella vita me lo sono visto sfrecciare davanti giusto un attimo fa.

E non ci sono salito sopra.

Addio Liverpool e sogni di gloria.

Shankly finalmente si riprende e torna tra noi.

Si schiarisce la gola “il fatto figliolo è che io ti voglio qua con me all’Anfield”.

Poi si rivolge al medico.

“Forse questo ragazzo ha solo bisogno di riposare un po’”

Mi illumino. Non tutto è perduto.

“Doc” continua Shankly “mandiamolo una settimana a Majorca. Un po’ di sole e di tranquillità lo rimetteranno a nuovo. Quando torna rifacciamo tutto daccapo e poi gli facciamo firmare il contratto”.

Questa l’idea di Shankly.

E ora sono qua, sull’aereo per la Spagna.

“Devi solo fare il bravo una settimana Frank” continuo a ripetermi.

“Forza, cosa vuoi che sia una settimana ? Al ritorno ci sono Bill Shankly e il Liverpool che mi aspettano a braccia aperte”

… certo però che le due bionda nella fila opposta alla mia sono proprio uno schianto !

Vabbè, vado a fare due chiacchiere e a offrirgli un drink … mica faccio nulla di male …

 

Quando Frank Worthington torna dalla vacanza a Marbella durante la visita medica al Liverpool le cose, se possibile, vanno ancora peggio.

Il Liverpool si rifiuta di mettere sotto contratto il giocatore e di pagare le 150.000 sterline richieste dall’Huddersfield per il suo cartellino.

Per lui sfuma l’opportunità di entrare in uno dei teams più prestigiosi e vincenti d’Inghilterra.

L’Huddersfield è appena retrocesso in Seconda Divisione.

L’unica offerta concreta per lui arriva dal Leicester, squadra con ambizioni assai più modeste dei Reds di Anfield.

Frank Worthington però a calcio ci sa giocare davvero.

E’ un centravanti alto, forte fisicamente ma a lui interessa avere la palla tra i piedi, inventare giocate, saltare l’uomo in dribbling, segnare gol spettacolari.

Si vuole e vuole divertire.

Dirà più di una volta che “il modo in cui gioco e più importante per me che la squadra vinca o perda”.

E’ un individualista.

Lo è nel campo di calcio e lo è nella vita.

Il suo idolo assoluto è Elvis.

La sua passione le donne.

Nel 1972 esce regolarmente con Miss Great Britain, un’avvenente signorina di nome Elizabeth Robinson ma non si limita certo a lei.

Sempre in quella estate, quella del suo frustrato passaggio al Liverpool, Sir Alf Ramsey lo convoca per l’under 23.

Worthington si presenta con stivali da cowboy, una maglietta di seta rossa e una giacca di pelle color giallo limone.

“Ma questo viene con noi a giocare a calcio a va all’Isola di Wight ?” si domanda un più che perplesso Ramsey.

Al Leicester mostra appieno tutte le sue qualità.

Segna regolarmente ma soprattutto gioca in maniera sublime.

Nel 1974, nel breve interregno di Joe Mercer come Selezionatore della Nazionale dei bianchi di Inghilterra dopo la mancata qualificazione ai Mondiali tedeschi, finalmente Frank trova spazio in Nazionale.

Gioca 8 partite, segna 2 gol ma il suo stile di gioco, la sua tecnica, il suo amore per la giocata di fino fanno innamorare gran parte dei tifosi inglesi.

Poco dopo però arriverà Don Revie, ex-manager del Leeds United.

Per “pazzi” come Frank non c’è posto nella Nazionale organizzata, disciplinata ed efficiente che ha in mente Revie.

“Lui voleva degli “yes-men”, pronti ad immolarsi per le sue assurde tattiche, ad ascoltare per ore i report sulle squadre avversarie e a provare e riprovare i suoi schemi” dirà Worthington in merito alla sua esclusione dalla Nazionale.

Al Leicester Worthington rimarrà ben cinque stagioni, segnando con regolarità e giocando sempre ad ottimi livelli anche se la Nazionale e la chiamata di un grande Club rimarranno sempre e solo speranze vane.

La sua vita fuori dal campo non cambierà di una virgola.

Miss Gran Bretagna e Miss Barbados sono solo due delle tantissime conquiste di Frank che continuerà a frequentare locali, a bere come se non ci fosse un domani e anche, come da lui stesso ammesso nella sua celebre autobiografia “One Hump or Two ?” a sperimentare diversi tipi di droghe, leggere e meno leggere.

Dopo la lunga (per i suoi parametri) parentesi al Leicester è il suo vecchio Manager Ian Greaves che lo porta a Bolton, in Seconda Divisione.

Con i suoi gol il Bolton torna in First Division e addirittura nella prima stagione nell’elite del calcio inglese Frank Worthington vincerà la classifica marcatori segnando la bellezza di 24 reti e arrivando davanti a calciatori del calibro di Kenny Dalglish, Frank Stapleton o David Johnson.

Proprio in questa stagione Frank segnerà uno dei gol più belli e “geniali” di tutta la storia del calcio inglese, per fortuna ancora a disposizione su you tube

https://youtu.be/W0z_arXZ8nM

Dopo il Bolton inizierà per Frank un vagabondaggio calcistico infinito tra Inghilterra e Stati Uniti.

Esperienze più o meno positive, tra cui sicuramente spiccano quella successiva al Birmingham o i sei mesi o poco più giocati al Leeds United (14 reti in 34 partite) e in ogni caso di Frank stupisce la incredibile longevità agonistica considerando il suo stile di vita.

Alla domanda “Frank, pare che ora passati abbondantemente i 30 anni tu abbia messo la testa a posto” ? gli chiede un giornalista televisivo.

“Assolutamente vero amico mio ! Prima uscivo sette sere su sette. Obiettivamente non è possibile per un giocatore professionista ! … ora esco solo sei sere su sette …

I suoi ultimi gol nel calcio professionistico Worthington li segna per lo Stockport County in quarta divisione.

E’ il 1987-1988. Frank ha quasi 40 anni.

Per chiudere, le sue parole in una bella intervista di qualche anno fa.

“So di non essere stato un angioletto ma niente quando giocavo contava più del calcio. Inutile però andare contro la propria indole. Certo, se avessi giocato nel Liverpool avrei potuto vincere trofei e magari giocare di più per la mia Nazionale.

Ma sono un uomo e non ho nessuna intenzione di accampare delle scuse.

Quella si che sarebbe una debolezza.

Ho sempre saputo chi ero e quello che volevo fare”

 

Come sempre la prima parte è fantasia dell’autore ma come sempre è stata raccolta da un’approfondita ricerca e da stralci di diverse interviste e aneddoti su Worthington, uno degli ultimi grandi personaggi del calcio britannico di un periodo genuino e romantico che sembra però lontano anni luce.

Storie Maledette: EDGARDO “EL RUSO” PRATOLA


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Alla mia età, a 31 anni, si inizia sempre più spesso a pensare a cosa fare “da grandi”.

Alla fine cioè, della carriera di calciatore e ai pochi anni di calcio giocato che rimangono.

Restare nel calcio ? Fare l’allenatore ? Il Direttore Sportivo ? O magari lavorare con i giovani ?

Oppure cambiare completamente strada e  dedicarsi ad altro ?

Questi sono, o dovrebbero essere, i pensieri per un calciatore della mia età.

Io non avrò questo lusso.

Per me non si parlerà di “anni”.

Ma di mesi … forse addirittura di settimane.

E non per colpa di un ginocchio o di una caviglia.

Per colpa di un maledetto cancro.

I medici non ci hanno girato troppo intorno.

E’ un tumore al colon che si sta estendendo a macchia d’olio nel mio corpo,

Non mi rimane molto tempo.

Questo vuol dire che per me non si tratterà di dire addio solo al calcio, ai miei compagni di squadra, ai tifosi e alla mia adorata maglia dell’Estudiantes.

Dovrò dirlo a mia moglie, la mia adorata Ana Laura e alle mie splendide bimbe, Camila e Lara.

Prima però voglio giocare ancora una partita almeno, una sola.

L’Estudiantes non me lo negherà, lo so.

Ho già perso quasi 5 kg di peso in poche settimane ma fra pochi giorni ci sarà il derby contro il Gimnasia.

Voglio esserci.

Devo esserci.

Poco importa se quel giorno sarà uno di quelli “balordi” dove dentro mi sembra di sentire gli artigli di un leone inferocito o dove per liberarmi la pancia dovrò prendere una dose doppia di lassativi.

Magari giocherò anche male e forse non lascerò un gran ricordo ai nostri tifosi che mi vedranno quel giorno.

Poco importa.

Quella partita conterà per me, perché voglio avere un ricordo con cui crogiolarmi nei mesi che dicono mi restano da vivere.

Si, lo faccio per me.

Sono egoista ? Forse

Ma credetemi … a questo punto non mi interessa granché.

Voglio rimettermi gli scarpini ai piedi per l’ultima volta, per l’ultima volta voglio risentire la puzza dell’olio di canfora negli spogliatoi, per l’ultima volta voglio sentire le grida dei miei compagni prima di scendere in campo … e per l’ultima volta voglio sentire il calore dei nostri tifosi quando entreremo nella cancha.

Voglio rimettermi per l’ultima volta la maglia del “Pincha”, la squadra che sempre amato e per cui facevo il tifo da bambino e con la quale ho avuto la fortuna di giocare 233 partite.

Voglio per l’ultima volta correre sul prato del Jorge Luis Hirschi dove mi sono divertito come un matto per tanti anni.

Se poi riuscirò ancora a vincere qualche duello aereo, a fare qualche bel tackle e magari mandare a gambe all’aria un avversario o due … beh, avrò ricordi ancora migliori da portare con me.

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Il 27 aprile del 2002, a 32 anni, Edgardo Fabian Pratola detto “El Ruso”, perderà la sua battaglia contro il cancro.

Poco più di un anno dopo dall’aver realizzato il suo ultimo sogno.

Si perché Edgardo Pratola giocò, e vinse, la sua ultima partita, quella contro i rivali storici dell’Estudiantes, quelli del “Lobo” del Gimnasia Y Esgrima La Plata.

Edgardo, nato a La Plata il 20 maggio del 1969, si fece tutta la trafila delle giovanili dell’Estudiantes prima di approdare alla prima squadra nella quale esordì a 19 anni.

Con i “Pinchas” rimase fino al 1996, conoscendo nel giro di meno di un anno la delusione per una retrocessione in Segunda e la immediata risalita in Primera durante una trionfale stagione per di più giocata con al braccio la fascia di capitano.

Poi il trasferimento in Messico, nelle file del Leon, squadra di vertice di quel campionato.

“El Ruso” vi rimarrà per tre stagioni prima di rientrare in Argentina.

Una stagione con l’Union de Santa Fe prima dell’agognato ritorno nelle fila del “suo” Estudiantes nel 2000.

La gioia per il ritorno nel suo adorato Club è però di breve durata.

Nei primi mesi del 2001 gli viene diagnosticato un tumore al colon.

La dignità, il coraggio e la determinazione con cui Edgardo lotterà per più di un anno contro questo male spietato saranno  un ricordo indelebile per tutti quelli vicino a lui, famigliari, amici e tutta la società dell’Estudiantes.

“El Ruso” era profondamente amato e rispettato per le sue grandi doti umane.

Calcisticamente non era un fenomeno, non aveva ne grande tecnica e neppure grandi doti naturali.

Ma era un combattente nato, aveva cuore e coraggio.

Picchiava come un fabbro ferraio !

Fino al maggio del 2014 deteneva il record di espulsioni nel campionato argentino !

Ben 19, cifra niente male considerando anche che ai suoi tempi il calcio argentino era molto più duro e fisico di oggi e gli arbitri assai più tolleranti.

Era in pratica il prototipo del “2” che in Argentina è da sempre lo stopper, quello che deve semplicemente fermare, con le buone (raramente) o con le cattive (assai più spesso) il centravanti avversario.

L’Estudiantes si comporterà fino all’ultimo in maniera splendida nei confronti di Edgardo, una delle storiche “bandiere” di questo Club.

Gli verrà offerto addirittura un ruolo nello staff tecnico di Mister Nestor Craviotto ma i medici si oppongono fermamente.

Non ci sono le condizioni sufficienti per un fisico già così minato dalla malattia.

Una delle ultime grandi gioie gliela regalano i suoi compagni di squadra al termine di un altro derby vittorioso contro i rivali del Gimnasia.

E’ il 22 gennaio del 2002 e nei festeggiamenti di fine gara il compagno di squadra e grande amico personale Mauricio Piersimone se lo mette sulle spalle e lo porta in giro per il campo davanti ai propri tifosi e a quelli altrettanto meravigliosi del Gimnasia che nonostante la caldissima rivalità mostreranno quella sera e in altre occasioni il loro appoggio e il loro sostegno ad un grande e leale avversario.

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La mattina del 27 aprile, solo tre mesi dopo quell’indimenticabile sera, Edgardo Pratola spirerà nell’Ospedale Italiano di Mar de la Plata.

Poche ore dopo l’Estudiantes ha in programma un importante incontro di campionato con l’Independiente.

L’incontro verrà disputato ugualmente e pare proprio che “El Ruso” lo abbia espressamente chiesto a compagni e dirigenti nei giorni precedenti.

Le ultime parole sono al padre Natalio, poco prima di morire.

“Ricorda ogni giorno alle mie “ragazze” (Camila di 3 anni e Lara di undici mesi) di affrontare la mia morte semplicemente come una cosa in più che fa parte della vita.

 E di andare avanti, lottando sempre per i loro sogni”

 

 

Come sempre tengo a precisare che il racconto in prima persona è opera del sottoscritto autore del pezzo ma è basata come sempre su interviste, testimonianze e articoli su questo grande e sfortunato calciatore.

Remo Gandolfi