BILL SHANKLY: L’uomo che creò il Liverpool F.C.


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La tosse di Ness sta peggiorando.

Quelle maledette sigarette !

Di smettere proprio non ne vuole sapere … anche se in fondo è l’unico vizio che ha.

La mia Ness è una donna meravigliosa.

So fin troppo bene che tutto quello che ho raggiunto lo devo in gran parte a lei.

Alla sua capacità di starmi vicino, silenziosa e presente, capace di tenere un profilo basso quando il mio ego andava oltre e quando il Liverpool Football Club mi impegnava la testa e l’anima per 24 ore al giorno.

Ora però ha bisogno di me.

Me lo sta facendo capire … a suo modo, con la sua discrezione e la sua dolcezza.

Ho dato tutto me stesso al Liverpool Football Club … ora devo fare altrettanto con la mia adorata Ness.

Mentre il Liverpool, il mio amato Liverpool Football Club, può invece fare a meno di me.

Certo, non era così quando arrivai qui, sulla riva “rossa” del Merseyside 15 anni fa, nel dicembre del 1959.

Allora c’era tutto da fare.

Tutto da sistemare, da ricostruire.

A cominciare dal campo di allenamento di Melwood.

Era un disastro quando arrivai.

Un campo di patate sarebbe stato probabilmente un posto migliore per allenarsi.

I giocatori erano sfiduciati.

Essere nelle ultime posizioni della Second Division non è certo quello che ci si può aspettare da un Club che in fondo aveva vinto 5 campionati di First Division anche se l’ultimo 12 anni prima.

La dirigenza non aveva una linea.

Giocatori acquistati senza criterio.

Giovani senza talento e vecchi guerrieri ormai stanchi.

Ma c’era qualcosa che poteva fare la differenza.

Lo capii fin da subito.

Il POPOLO del Liverpool Football Club.

Mai visti dei tifosi così !

Forse solo su nella mia Scozia, quelli del Celtic o del Rangers.

Ma era comunque diverso; lassù sono abituati a vincere … a Liverpool avevano ormai dimenticato che sapore ha la vittoria di un Campionato o di una Coppa.

Ci abbiamo messo del tempo.

Per prima cosa abbiamo rimesso a posto Melwood.

Ora è un gioiellino !

E se vuoi attrarre i migliori giocatori del Paese tutto deve essere all’altezza.

Ora siamo al top.

Siamo al top in Inghilterra e ci siamo andati molto vicino anche in Europa.

Non fosse stato per quei maledetti imbroglioni degli italiani e soprattutto per quel dannato arbitro spagnolo compiacente !

In Europa però sanno bene chi siamo.

L’anno scorso abbiamo vinto la Coppa UEFA, battendo uno squadrone fantastico come il Borussia Monchengladbach.

Poche settimane fa a Wembley abbiamo vinto la FA CUP !

Finalmente.

Quel maledetto trofeo sembrava stregato.

Che partita ragazzi !

Abbiamo distrutto il Newcastle.

L’abbiamo annichilito.

l nostro terzo gol è stato da antologia del calcio.

Qualcosa come 12 passaggi consecutivi prima di mettere il nostro piccolo fenomeno, Kevin Keegan, solo davanti alla porta sguarnita.

Lui, Emilyn Hughes, Peter Cormack, Steve Heighway … quanti di loro siamo andati a scovare nelle divisioni inferiori !

E quante ore passate nella nostra stanza degli scarpini con Bob, Joe, Ronnie e Reuben a disquisire su quali giocatori erano “DA LIVERPOOL” e quali no.

Con loro e con altri prima di loro abbiamo costruito due generazioni di squadre vincenti.

Vincenti e oneste.

Perché al Liverpool Football Club abbiamo sempre rispettato le regole, con etica e dignità.

Vincenti e belle.

Perché al Liverpool Football Club al calcio si deve giocare bene e divertire la gente.

E’ ora però di prendere la decisione … la più dura e difficile di tutta la mia vita.

Lasciare il Liverpool Football Club.

Lasciare un pezzo della mia vita.

Lasciare la gente che amo e che ha ricambiato questo amore fin dal primo giorno in cui sono arrivato qui.

Lo so … non sarò MAI veramente pronto a farlo.

Ma questo è il momento.

Devo farlo per Ness, perché finalmente possa avere davvero vicino il suo uomo … adesso che non siamo più due ragazzini.

Lo farò … ma so che una parte di me rimarrà sempre lassù nella KOP, insieme a tutti quei ragazzi che ci hanno sostenuto sempre, per tutti questi anni.

Nei periodi di gloria ma anche e soprattutto in quelli meno felici.

Si, è lì che ci sarà sempre un pezzetto del mio cuore.

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Bill Shankly, l’uomo che creò il Liverpool Football Club lascerò il Club nel luglio del 1974, poche settimane dopo la conquista della tanto agognata FA CUP.

Nelle immagini a seguire c’è tutto l’amore del popolo di Liverpool subito dopo l’annuncio del suo ritiro.

https://youtu.be/dSMpz11qbi8

Incredulità e tristezza si mischiano nel volto degli intervistati.

C’è un ragazzino quasi in lacrime che semplicemente si rifiuta di credere che il loro Messiah li abbia abbandonati.

Billy starà vicino a Ness negli anni che seguiranno il doloroso addio ma il Liverpool Football Club non uscirà mai dal suo cuore e dalla sua mente.

Si pentirà ben presto della decisione presa.

Shankly senza il calcio e senza il Liverpool non può vivere.

Lo si vedrà spesso all’Anfield alle partite dei suoi Reds e ancora più spesso a Melwood, al campo di allenamento, a salutare i ragazzi, ad assistere agli allenamenti … qualche volta anche a dare consigli.

La sua figura, così rispettata, amata e carismatica ad un certo punto diventa però ingombrante per la dirigenza e anche per l’amico ed ex braccio destro Bob Paisley, ora manager del Club.

I rapporti si incrineranno tra il Liverpool e Shankly.

Proprio mentre il Liverpool spiccherà il volo definitivo verso il tetto d’Europa a raggiungere quei traguardi che Bill aveva solo sfiorato …

Traguardi raggiunti da altri è vero, ma che è impossibile non ritenerne Shankly comunque l’artefice principale.

Solo 3 anni dopo il suo ritiro, con la squadra praticamente costruita dallo stesso Shankly, arriverà la prima Coppa dei Campioni, a Roma e ancora una volta contro il Borussia Monchengladbach.

Protagonista assoluto di quella finale sarà quel Kevin Keegan che proprio Bill Shankly andò a scovare in Terza Divisione nel piccolo Scunthorpe United e che quando presentò alla dirigenza e ai tifosi definì “la scintilla che incendierà il Liverpool Football Club”.

Uomo di un carisma incredibile, passionale, onesto e rivoluzionario.

Si, anche rivoluzionario.

La prima vera difesa a 4 in linea fu opera sua con i suoi Reds e fu il primo in assoluto a credere in un calcio dove tutti gli 11 in campo “sapessero dare del tu al pallone” … anni prima dell’avvento del meraviglioso “calcio totale” olandese.

Ma una vita senza calcio e senza Liverpool non era semplicemente contemplabile per Bill.

Il suo cuore, quel meraviglioso e grande cuore che tutti gli riconoscevano sotto quella corazza da finto burbero, ha finito di battere solo 7 anni dopo l’annuncio dal suo ritiro dal calcio e dal Liverpool Football Club.

A soli 68 anni.

Le sue ceneri sono state sparse lassù, nella SPION KOP, dove l’amore per questo scozzese arcigno, testone, coraggioso, visionario e onesto fino al midollo, non ha mai smesso un secondo di esistere.

 

A seguire un toccante tributo a colui che personalmente considero il più grande uomo di calcio mai esistito.

William “Bill” Shankly.

STORIE MALEDETTE: HUGO “Tomate” PENA


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Non faccio che ripensare a quel giorno !

Nonostante siano passati ormai quasi 4 mesi.

Non riesco a togliermi dagli occhi e dal cuore le immagini e le sensazioni provate al termine di quella storica, fondamentale partita.

Il popolo di Boedo, il MERAVIGLIOSO popolo di Boedo, ci ha portati in trionfo.

Tutti noi.

Ogni singolo giocatore è stato sollevato verso il cielo dai nostri incredibili tifosi.

Hanno iniziato in Parque Patricios, appena finita la partita e poi la festa è continuata a casa nostra, al Gasometro.

Il loro calore, il loro abbraccio, le felicità negli occhi della gente di Boedo sono già un ricordo indelebile.

E’ successo tutto dopo una partita del Campeonato Metropolitano.

Era il 24 agosto.

La partita si è giocata nel campo dei nostri cugini dell’Huracan.

L’avversario era il Tigre.

Lo abbiamo battuto nettamente e senza appello.

3 a 0.

Io, che sono un difensore, ho segnato il primo gol, di testa, dopo nemmeno 4 minuti di gioco.

Da quel momento, e per tutto l’incontro, il grido dei nostri tifosi, del MERAVIGLIOSO pubblico di Boedo, è risuonato come un mantra …

“Boedo no se va !” “ Boedo no se va” ! …

Non ce ne andiamo … non andremo in Segunda Division.

Si, perché questa partita non era per un trofeo, non era la finale di una coppa o la partita decisiva per il titolo.

Era la partita che poteva voler dire per il San Lorenzo RETROCESSIONE.

La vittoria contro il Tigre è servita “solo” a rimanere in Prima Divisione.

Qualsiasi altro risultato avrebbe significato per il San Lorenzo, uno dei più grandi Club di tutta l’Argentina, la retrocessione.

E retrocedere, per questo Club e per il MERAVIGLIOSO popolo di Boedo, non è semplicemente contemplabile.

Sarebbe una catastrofe.

Una tragedia.

E invece ce l’abbiamo fatta !

Pensare che non dovevo neanche giocarla questa partita …

Avevo una caviglia malconcia.

Dopo la partita con il River di domenica scorsa non riuscivo neanche a camminare.

“Tomate, non puoi farcela. Non ha senso rischiare” mi hanno detto i nostri dottori.

No amici miei !

Io questa partita non la salto.

Non posso non esserci.

Magari non sarò al 100%, ma la mia parte, potete starne certi, la faccio anche su una gamba sola !

Così ho detto loro.

La caviglia non mi ha tradito.

E ora  non vedo semplicemente l’ora che ricominci un’altra stagione !

Dobbiamo fare molto, molto di più per ricambiare l’amore incondizionato dei nostri tifosi.

Dobbiamo tornare ai vertici, a giocarci i trofei con il River, il Boca, l’Estudiantes e l’Independiente.

Manca poco più di un mese all’inizio del campionato.

Poco importa se mi sto riprendendo da una maledetta frattura alla tibia.

Ne ho viste di peggio !

Quando il pallone ricomincerà a rotolare ci voglio essere, ci DEVO essere.

A fianco dei miei compagni e davanti al nostro pubblico, il MERAVIGLIOSO pubblico di Boedo che tutte le settimane riempie il Gasometro e che non merita di soffrire come nella scorsa stagione.

Dovremo fare in modo che non accada.

Mai più.

 

 

Hugo “Tomate” Pena non giocherà mai più con la maglia del suo adorato San Lorenzo.

Hugo “Tomate” Pena non giocherà mai più una partita di calcio.

Il destino se lo porterà via il 9 gennaio 1980.

A soli 29 anni.

In una maniera assurda, terribile, irreale … quasi paradossale.

Hugo è nella sua casa di Villa Devoto.

E’ seduto sul divano e sta guardando la televisione.

In braccio ha sua figlia, la piccola Gabriela, di 3 anni.

La gamba sinistra del “Tomate” è immersa in una bacinella.

Dentro c’è una soluzione di sali sciolti nell’acqua calda.

Serve a curare una frattura alla tibia di qualche mese prima.

Tutto può servire per accelerare il suo recupero e permettergli di tornare in campo con il “suo” San Lorenzo alla ripresa della stagione agonistica.

E’ l’ora di “Tom & Jerry”, il cartone preferito dalla piccola Gabriela.

Hugo si alza dal divano e preme il pulsante del televisore per cambiare canale.

Ha ancora il piede immerso nella bacinella.

La scarica elettrica lo colpisce in pieno.

L’urlo è straziante.

Accorrono la moglie e i vicini da casa.

La piccola, illesa, è ancora seduta sul divano.

Le condizioni di Hugo appaiono subito disperate.

La corsa dell’ambulanza verso il vicino ospedale di Sarsfield è frenetica quanto disperata.

Tutto inutile.

Hugo “tomate” Pena morirà pochi minuti dopo l’arrivo in ospedale.

La notizia si sparge con la velocità della luce.

Il quartiere di Boedo si ferma, paralizzato, incredulo, affranto.

Ai suoi funerali saranno migliaia quelli che lo accompagneranno nell’ultimo viaggio.

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Il “Tomate” (il “pomodoro” così chiamato per la sua pelle bianchissima che diventava rossa come il famosissimo ortaggio ai primi raggi di sole) era il giocatore più amato dai tifosi del “Ciclon”.

Arrivato al Gasometro poco più di un anno prima conquistò da subito il cuore dei tifosi del San Lorenzo (di cui da sempre si era professato tifoso sfegatato) per la sua eleganza dentro e fuori dal campo, per la sua professionalità esemplare, per la sua capacità di guidare il reparto difensivo con l’esempio più che con le parole.

Coraggioso, determinato e leale, “dejava todo en la cancha” che da quelle parti è forse il più bel complimento per un calciatore.

Hugo era un giocatore “atipico” per tanti motivi.

Uno di questi era il suo amore per lo studio.

Voleva diventare ingegnere elettronico (ironia bastarda della sorte …) e il giorno del suo esordio, con l’Argentinos Juniors contro il Lanus nel 1970, era ancora iscritto ad Ingegneria.

Nel 1973, viste le sue eccellenti prestazioni con i “Bichos” se lo contendono fino alle ultime ore della chiusura del mercato le due grandi per antonomasia del calcio argentino, Boca Juniors e River Plate.

I Millionarios la spuntano sborsando 70.000 dollari (cifra assai importante per il periodo) e con loro Pena giocherà quasi 100 partite, diventando il leader della difesa del River.

L’avvento nel 1976 di Daniel Passarella, nuovo “caudillo” della difesa della “banda”, lo spingerà a lasciare il River per il Chacarita e dopo poco più di un anno l’arrivo finalmente all’amato San Lorenzo.

Il suo periodo nel Ciclon coincide purtroppo con uno dei periodi più travagliati del glorioso Club di Boedo tanto caro al nostro Santo Padre.

Enormi problemi economici che costringono il San Lorenzo a vendere tutti i giocatori migliori (primo fra tutti Jorge Olguin, futuro campione del mondo con l’Argentina nel 1978) ma proprio la passione, il carattere indomito e il coraggio del “Tomate” lo fanno diventare in poche settimane l’idolo del MERAVIGLIOSO popolo di Boedo.

Infine, occorre sottolineare che in occasione della partita descritta all’inizio del racconto con il Tigre, Pena fu sottoposto per tutta la settimana a continue infiltrazioni di cortisone, una addirittura pochi minuti prima di scendere in campo, talmente malridotte erano le condizioni della sua caviglia.

Come detto il San Lorenzo vinse e si salvò davvero per il rotto della cuffia dalla retrocessione.

… salvo poi retrocedere la stagione successiva, anche se ogni tifoso del San Lorenzo afferma con assoluta certezza che con il “Tomate” in campo anche in quella stagione non sarebbe mai potuto accadere …

 

Infine, una piccola curiosità, raccontatami qualche settimana fa dall’amico Federico Lopez Campani, argentino trapiantato in Emilia, (e fonte per me inesauribile di aneddoti e storie) che ai tempi era un bambino e viveva ancora in Argentina.

Fu talmente grande l’impatto della morte di Hugo Pena e le sue circostanze che per lungo tempo ai bambini veniva ricordato come monito quanto accaduto al povero Hugo …

“secate bien y no toques la tele descalzo o vas a terminar como el tomate Pena”

(asciugati bene e non toccare la televisione scalzo o farai la fine del tomate Pena) 

https://youtu.be/YuREJZplN-s

 

Giusto anche stavolta precisare che la parte raccontata in prima persona è esclusivamente frutto della fantasia (scarsa) dell’autore anche se scritta dopo innumerevoli visite in diversi blogs, la lettura di articoli e interviste al “Tomate” e  dai racconti di chi lo conosceva bene.

STORIE MALEDETTE: DAVID “ROCKY” ROCASTLE


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Sono chiuso nella mia auto.

A 500 metri dal nostro campo di allenamento.

Sto piangendo come un bambino.

Ancora non riesco a crederci.

Sono uscito mezz’ora fa dall’ufficio del nostro Boss, George Graham.

Non potevo davvero credere alle sue parole.

“David, ti ho appena venduto al Leeds United.” mi dice.

“Ma … Boss … io non voglio andare al Leeds United !”

“Io sono felice qui, nell’Arsenal”.

E mentre glielo dico le prime lacrime iniziano a gonfiarmi gli occhi.

Qualcuna inizia a scivolare giù …

“Raccogli la tua roba. Dopodomani Howard Wilkinson ti aspetta a Dublino per unirti alla squadra”.

Adesso le lacrime arrivano copiose.

Lo so che non dovrei. Lo so che non serve a nulla.

George Graham non ha mai cambiato idea una volta.

Sono 6 anni che lo conosco.

E’ arrivato all’Arsenal che ero poco più di ragazzino.

Ma non ha esitato un secondo a buttarci dentro in prima squadra.

Tony, Martin, Niall, Michael ed io … una banda di ragazzini !

E con lui abbiamo vinto subito.

La Coppa di Lega.

A Wembley, in finale contro il Liverpool.

Poi sono arrivati trofei ancora più importanti.

Due campionati di Prima Divisione.

Ora però il Boss mi ha detto di andarmene.

Andarmene dall’Arsenal.

Da casa mia.

Sono qua da quando avevo 15 anni e l’Arsenal è l’unica squadra per la quale voglio giocare a calcio.

Non riesco a smettere di piangere.

Qui ci sono tutti i miei amici, molti dei quali hanno fatto tutte le giovanili con me.

Prima di entrare nell’ufficio del Boss alcuni di loro mi prendevano in giro

“Ehi Rocky, vai dal Boss. Maledetto bastardo ti beccherai un aumento di stipendio”.

La scorsa stagione è stata una delle più belle della mia carriera.

L’anno prima avevo avuto dei guai seri ad un ginocchio.

Ho fatto fatica a tornare ai miei livelli.

Dicevano che era un problema serio.

“Degenerativo” lo hanno definito i dottori.

E’ vero, ho perso un po’ di quello spunto in velocità che caratterizzava il mio gioco e giocare in fascia se non riesci a saltare l’avversario è dura !

Il Boss allora mi ha messo in mezzo al campo.

Mezz’ala.

Non ci avevo mai giocato ma mi sono subito trovato a mio agio.

Ho giocato praticamente sempre e ho fatto anche qualche gol.

Probabilmente ho giocato la più bella stagione della mia carriera !

E poi quel gol all’Old Trafford !

Che gioia ragazzi !!

… e ora invece me ne devo andare …

E ancora non riesco a smettere di piangere.

Per David “Rocky” Rocastle lasciare i Gunners fu semplicemente insopportabile.

Lui che per l’Arsenal faceva il tifo.

Figlio di una famiglia caraibica emigrata in Inghilterra alla fine degli anni ’50.

Il padre muore nel 1972, quando David ha solo 5 anni.

Ma gli amici e i parenti ricordano a David quello che il padre amava spesso raccontare, anche lui innamorato del calcio.

“Andare negli stadi inglesi per un uomo con la pelle scura alla fine degli anni ’60 non era affato semplice. Qualche insulto razzista arrivava sempre prima o dopo … quando addirittura non finiva peggio. Ad Highbury non mi è mai capitato una volta”. Ed è per questo che ho cominciato a tifare per i Gunners”.

David viene visto in un campetto a Lewisham, il suo quartiere, addirittura dal Presidente dei Gunners, David Dein, che arrivato a casa racconterà estasiato alla moglie “Ho visto il nuovo n° 7 dell’Arsenal ! ha 14 anni e gioca come un brasiliano !”

Viene preso nelle giovanili.

Con lui ci sono Tony Adams, Niall Quinn, Michael Thomas, Martin Keown, Martin Hayes e dopo poco arriverà anche Paul Merson.

Del talento di David se ne accorgono tutti.

Ma c’è un problema.

Gioca sempre con la testa bassa, in dribbling salta gli avversari come birilli, ma sempre non avere idea di dove sia la porta.

Nel suo sguardo “storto” c’è la risposta; David ha uno strabismo importante che una volta corretto con un paio di lenti a contatto lo trasforma ben presto in una autentica iradiddio !

Ha tecnica, velocità, dribbling ma è anche forte fisicamente e soprattutto lotta come un leone.

Questa sarà la caratteristica che lo renderà un idolo per il popolo biancorosso di Highbury.

E di tutte le squadre che verranno dopo.

Non è frequente vedere un giocatore del suo talento inseguire gli avversari come un indemoniato, lanciarsi in tackles impavidi, sacrificarsi in pressing e raddoppi di marcatura.

Entrerà, per restarci per sempre, nel cuore dei tifosi dei Gunners una sera di primavera del 1987.

E’ la semifinale di Coppa di Lega.

Dopo due pareggi si gioca “la bella”.

Il campo però è quello degli odiati cugini del Totthenam.

Uno squadrone da far paura.

Hoddle, Waddle, Ardiles, Clive Allen … contro una banda di ragazzini alcuni dei quali neppure ventenni.

David Rocastle segnerà il gol della vittoria, al 90mo minuto.

Gol che permetterà ai Gunners di tornare a Wembley dopo 7 lunghi anni.

https://youtu.be/geJbTwOQoQU

Arriveranno come detto due titoli di First Division, 14 presenze in Nazionale ma purtroppo per Rocky nessuna partecipazione a Mondiali o ad Europei.

L’arrivo al Leeds nell’estate del 1992 segnerà invece l’inizio di un declino inatteso quanto rapido.

I dottori, purtroppo, avevano ragione.

Il ginocchio gli crea sempre più spesso problemi.

Con i campioni d’Inghilterra in carica non riuscirà mai ad esprimersi ai suoi eccellenti livelli e i trasferimenti al Manchester City, al Chelsea (lo vorrà Glenn Hoddle, dicendo che “si, so dei problemi al ginocchio di David. Ma 60 minuti suoi sono meglio di 90 di tanti altri giocatori !” poi al Norwich e poi addirittura al Hull in Terza divisione saranno contraddistinti da prestazioni altalenanti, spesso incolore e da tanti guai fisici che lo costringeranno, a soli 32 anni, ad appendere le scarpe al chiodo.

E lo farà dopo aver giocato un pugno di partite addirittura in Malesia, nel dicembre del 1999.

Ma la dea bendata ha evidentemente deciso che tutto questo non bastava.

Poco più di un anno dopo, nel febbraio del 2001, David Rocastle conferma quello che in tanti nel mondo del calcio già sospettavano da tempo; Rocky è malato.

Ma nessuno poteva immaginarne la gravità.

David Rocastle ha un cancro.

Il terribile “linfoma di Hodgkin” una delle più aggressive forme di tumore che attacca il sistema immunitario.

Il mondo del calcio si stringe intorno a Rocky, alla moglie Janet e ai suoi tre figli, Ryan, Melissa e Monique.

Rocastle è amato e benvoluto da tutti.

Professionista esemplare, correttissimo in campo, disponibile e affabile con tutti.

E poi Rocky è il suo soprannome !

Di combattere non ha mai avuto paura.

Ma questa battaglia, la più importante di tutte, David Carlyle Rocastle, la perderà.

Nemmeno due mesi dopo quel tragico annuncio.

E’ il 31 marzo del 2001.

 

David Rocastle è una delle 32 leggende della storia dell’Arsenal dipinte sui muri del nuovo Emirates Stadium.

Di lui, una frase rimarrà per sempre a cementarne il ricordo, quella che amava dire a tutti, soprattutto ai nuovi arrivati in prima squadra, o ai ragazzi delle giovanili, riferendosi all’Arsenal, la squadra che amava.

“REMEMBER WHO YOU ARE, WHAT YOU ARE AND WHO YOU REPRESENT !”

A seguire questo breve e toccante tributo a questo grande e sfortunato talento.